Due piazze, due linee, un Pd.

Il dilemma dem tra guerra e pace (e non solo) visto da Arturo Parisi

"Il Pd prima o poi dovrà fare una scelta. O forse sarà prima la guerra a costringere ognuno a una chiara scelta di campo"

Marianna Rizzini

Il rapporto con Conte, quello con D'Alema e Bersani, i voti in caduta libera, lo scollamento tra partito ed elettori. Le'ex ministro della Difesa e padre fondatore pd invita a " ripassare i dati elettorali. I numeri veri dal 2008 a oggi". 

Sabato 5 novembre si svolgeranno a Roma e Milano due diverse manifestazioni per la pace, una con Giuseppe Conte e un’agenda concentrata sul “cessate il fuoco immediato”; l’altra, convocata da Carlo Calenda, che specifica: “Non si chiede la resa dell’Ucraina”. Il Pd resta in mezzo, partecipa a entrambe, sospeso tra due linee. Che cosa ne pensa Arturo Parisi, già ministro della Difesa nel governo Prodi, di questo atteggiamento altalenante? “Perché altalenante? Se il Pd è Enrico Letta, ancora Letta, la condivisione della linea adottata dalla comunità atlantica a sostegno della resistenza ucraina alla aggressione di Putin è stata certo uno dei pochi punti sui quali è stata tenuta fin dall’inizio una posizione chiara e ferma. Come mostra l’ultima indagine IAI, senza il deciso contributo del 60 per cento degli elettori Pd e del 70 per cento di quelli del Terzo polo, lo stesso invio di armi sarebbe già oggi minoritario nel paese. Sopraffatto innanzitutto dall’opposizione del 60 per cento degli elettori di Conte ma anche del 57 per cento di quelli del centrodestra. Ma alla segreteria pd è evidente come questo sostegno vada riducendosi ogni ora di più. È per questo che, più che ‘altalenare’, il Pd non ha la forza di dissociarsi o distinguersi nitidamente in manifestazioni come quella di Roma – che pur riconoscendo che c’è un aggressore e un aggredito punta a invitare il secondo a darsi una calmata per non costringere il povero Putin a continuare a minacciare l’atomica. E come potrebbe d’altra parte resistere se a premessa, condizione e centro del ricongiungimento ri-costituente del partito predicato da Letta sta il ritrovamento con i già scissionisti di Art.1 di Bersani e D’Alema a loro volta collegati con Conte? Che sostengono appunto la linea opposta. Senza considerare la galassia cattolica che si appresta a sfilare chiamando in causa Papa Francesco e in risposta all’appello del Presidente della Cei e della sua Comunità di Sant’Egidio che col nome di DemoS ha condiviso con Letta e Art.1 la sconfitta alle elezioni. Più che altalenante, il Pd è destinato a finire sospeso tra le due linee in campo sulla guerra”.

 

Come uscirne? “Sarà la scelta che il Pd prima o poi dovrà fare. O forse sarà prima la guerra a costringere ognuno a una chiara scelta di campo. Come dimenticare che, nell’ottobre del 1939, all’indomani dell’invasione di Hitler della Polonia, alla domanda della Gallup sull’eventualità di un intervento in guerra degli Stati Uniti, gli americani risposero al 71 per cento con un sonoro No? Lo stesso No che unirà i partigiani della pace che domani sfileranno a Roma, non per gridare, come cinquant’anni fa, Putin Go Home, ma per invitare l’Ucraina a non alimentare con il suo atteggiamento ‘irresponsabile’ l’escalation, e i governi occidentali, a cominciare dal nostro, a non sostenerla su questa linea. L’unica linea che mantenendo un ancorché precario equilibrio consente oggi di parlare di negoziato e di ragionare sulla pace che tutti auspichiamo”.

   

Il Pd è in caduta libera. Come fermare la deriva senza essere fagocitati da Conte? “Se il Pd non prende coscienza del disastro nel quale è finito, non c’è alcuna speranza. Nessuno cerca terapie per malattie che non riconosce di avere. Basterebbe che ripassasse i dati elettorali. I numeri veri. Scoprirebbe che su 100 voti raccolti nel 2008 alla sua nascita, ancora recente, il 25 settembre gliene erano rimasti 44. Se dovessimo stare ai sondaggi, già oggi sembra che ne siano rimasti 40. Se continua così, in poco tempo potrebbe scoprire che su 3 voti glien’è rimasto soltanto uno. Il Pd si nasconde dietro il fatto che tutti i partiti perdono voti verso l’astensione, e la circostanza che questa emorragia si sia sviluppata nel tempo consente al segretario di turno di dar conto solo del suo piccolo tratto di strada”.

   

C’è uno scollamento gruppo dirigente-base? “Il vero scollamento è quello tra il partito e gli elettori. Uno scollamento nella quantità del seguito annunciata tuttavia dallo scollamento invisibile nella qualità dell’adesione. Escluse alcune zone nelle quali i locali delle antiche sezioni Pci sono frequentati, come in estate le feste dell’Unità, dai militanti del partito che fu, il partito è fatto sopratutto di dirigenti, ex dirigenti e aspiranti dirigenti. Più o meno quello che capita, purtroppo, a tutti i partiti. Ho detto dirigenti. Non gruppo dirigente. Dirigenti che fanno gruppo soprattutto e giusto per il tempo in cui a qualche passante viene in mente di scalare i vertici sconvolgendo i piani dei singoli. Aggiungo: piani comprensibili e legittimi, in un tempo nel quale la politica è scambiata con quello che fanno i politici, e i politici identificati con quelli che hanno fatto della politica la propria professione”.
 


 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.