Il retroscena

Giochi di guerra sull'Ucraina. Meloni accelera per evitare Lega e FI, poi fa retromarcia

Simone Canettieri

L'emendamento spinto dal ministero della Difesa per le armi fino a tutto il 2023 finisce nel vuoto. Ci sarà un decreto. Domani battaglie sulle mozioni. Guerini verso la presidenza del Copasir

Giochi di guerra. Al Senato la maggioranza, su spinta del governo, prima presenta un emendamento per prorogare l’invio di armi all’Ucraina per tutto il 2023. Poi, con la scusa delle proteste di Pd e M5s, lo ritira. Il blitz era stato motivato con una questione di tempo: il provvedimento deve vedere la luce entro l’anno. Così l’ha spiegato Guido Crosetto, titolare della Difesa, protagonista del dietrofront. Un mezzo pasticcio, perché la conferma dell’aiuto militare a Zelensky era stato infilato in un decreto omnibus che si occupava sì delle missioni Nato, ma comprendeva anche la crisi della sanità calabrese e l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco. Mettete le aspirine nei nostri cannoni. Dal Quirinale escludono forme di pressioni   nonostante la disomogeneità degli argomenti (“togliere l’emendamento è stata una libera scelta del Parlamento”), ma di sicuro qualcosa nella maggioranza è successo, viste le posizioni di Lega e Forza Italia sull’invasione russa.

Crosetto alla fine di una giornata un po’ convulsa si assume la responsabilità di aver provocato un caso: “Ho chiesto a Ciriani di ritirare l’emendamento, ma il decreto va approvato entro 31 dicembre per rispettare gli impegni dell’Italia. Le opposizioni si impegnino a discuterlo entro quella data”. Il Terzo polo, come ha spiegato la capogruppo a Palazzo Madama Raffaella Paita, non avrebbe avuto problemi a inserirlo nel decreto incriminato “anche se Pd e M5s stanno sempre dalla parte sbagliata”.

Come ha spiegato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Ciriani appunto, il decreto per sostenere Kyiv passerà dal Cdm già giovedì o al massimo la prossima settimana. Con il rischio però che così si trovi ingolfato nella conversione della manovra e degli altri provvedimenti sfornati da Palazzo Chigi. Dietro alla fretta del governo, poi rimangiata, c’era appunto il timore che gli alleati potessero puntare i piedi sulla questione delle armi trovando magari sponde proprio nel M5s e in un pezzo del Pd. La mossa non è riuscita e adesso l’ultima parola spetterà all’Aula visto che il decreto quadro sarà convertito. E dunque accompagnato da un voto del Parlamento. Al contrario dei periodici invii di armi disposti da decreti interministeriali (Economia, Esteri, Difesa). Sta di fatto che mentre il Senato era alle prese con l’emendamento poi ritirato, alla Camera la maggioranza provava a scrivere la mozione che sarà votata domani.

A Montecitorio infatti sarà il giorno del dibattito parlamentare. Il centrosinistra va in ordine sparso. Giuseppe Conte e il M5s presenteranno un documento per promuovere “l’azione diplomatica”, Verdi e Sinistra sono pronti a chiedere “lo stop alla fornitura”, il Pd spinge sul diritto all’“autodifesa dell’Ucraina”. Davanti a uno scenario che sembra già scritto, ieri la maggioranza si è trovata a riscrivere due mozioni. L’ultima, quella finale, cita il riarmo all’Ucraina solo al punto cinque. Seguito dall’impegno di “conseguire l’obiettivo di una spesa per la difesa pari al 2 per cento del pil entro il 2028, anche promuovendo, nel quadro della riforma del Patto di stabilità e crescita, l’esclusione delle spese per gli investimenti nel settore della difesa dal computo dei vincoli di bilancio”. I primi punti della mozione, voluti con forza dalla Lega di Salvini, mettono al centro “tutte le iniziative diplomatiche volte a creare le condizioni per un negoziato di pace, una pace giusta e sostenibile, fondata sul rispetto delle norme di diritto internazionale, della sovranità e dell’integrità territoriale e del principio di autodeterminazione dei popoli”. E poi la tutela dei minori, gli accordi sul grano e un richiamo all’esercito europeo. Un ordine di priorità che nella prima versione non c’era. Dettagli e strategie che dimostrano come l’argomento sia un fronte caldo per Meloni. Anche perché in contemporanea ci sono le richieste di aiuto, sempre più pressanti, che provengono dal paese assediato da Putin: “Abbiamo bisogno di Patriot e trasformatori”, ha ribadito anche ieri il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, accanto al Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, a margine della riunione dei ministri degli Esteri alleati di Bucarest, dove proprio di questo si discute. 

I giochi di guerra passano oggi dal Parlamento. Dove dovrebbe sbloccarsi dopo un lungo stallo anche la commissione bicamerale del Copasir. La presidenza dell’organismo va alle opposizioni. L’ex ministro pd della Difesa Lorenzo Guerini è pronto a diventarne presidente, per la seconda volta. Ma senza i voti del M5s che sperano nel segreto dell’urna di avere una mano almeno dalla Lega per un’azione di disturbo.  

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.