c'è vita oltre il vaffa

Dal Mef al Viminale, ecco i sei ministeri da monitorare per capire che destra sarà 

Claudio Cerasa

L’inizio della legislatura non promette bene. Ci sono sei test da seguire per valutare se i partiti sapranno uscire dalla stagione dell’irresponsabilità. Cos’è la discontinuità con il populismo? Una guida

Lo scoppiettante inizio della legislatura – inizio caratterizzato da un centrodestra che si divide clamorosamente a tre ore dall’apertura delle Camere (pronti!), da una Forza Italia che non vota per Ignazio La Russa negli stessi istanti in cui però Berlusconi vota per Ignazio La Russa, da un Cav. che resiste solo due ore senza mandare a quel paese il partito di Meloni (il Var ha decretato che il vaffa non era rivolto direttamente a La Russa) e da un’opposizione molto tosta che ha aiutato la maggioranza di centrodestra a eleggere un presidente del Senato che senza l’opposizione non sarebbe stato eletto (altro evidente segnale dell’imminente arrivo del fascismo) – suggerirebbe molta prudenza nel fare sfoggio di ottimismo rispetto al governo futuro. Specie poi se si considera che la ragione del contendere tra Berlusconi e Meloni, la ragione che ha allontanato per una mattinata gli alleati di centrodestra, ha a che fare non con i nomi scelti dai leader per le presidenze delle Camere ma  con i nomi vagliati da Meloni per non farsi trovare impreparata quando la prossima settimana Sergio Mattarella, dopo averle dato l’incarico, le chiederà una lista di ministri da condividere.

 

Eppure, nonostante il caos del primo giorno di scuola, ci sono buone ragioni per credere, e per sospettare, che il centrodestra che guiderà l’Italia, quando presenterà la sua lista di ministri e quando avrà deciso cosa far fare al governo a Licia Ronzulli, alla fine offrirà anche agli interlocutori più scettici segnali utili per scrutare il futuro senza preoccupazioni eccessive. Dipende tutto da sei mosse, dalle quali passa la capacità del centrodestra del futuro di allontanarsi dal suo passato estremista e di proiettarsi rapidamente verso un futuro non populista (Tsipras di destra? Chissà). La prima mossa, ovviamente, coincide con la casella più importante, quella del ministero dell’Economia, e la possibilità che quella casella sia occupata da un politico europeista, come Giancarlo Giorgetti, il più tecnico tra i politici del centrodestra, che sogna da anni di allontanare la Lega dal populismo, che conosce bene la macchina dello stato, che in passato si è fatto apprezzare ai tempi della presidenza della commissione Bilancio per essere un argine anche al modello Tremonti, è una scelta che avrebbe un effetto doppio: mettere la politica di fronte alle proprie responsabilità e costringere di conseguenza la politica a fare un passo in avanti per uscire a testa alta, si spera, dalla stagione dell’irresponsabilità. Vale per il futuro del Mef, naturalmente, ma vale anche per altre caselle strategiche, come il ministero della Giustizia, il ministero dello Sviluppo,  il ministero delle Infrastrutture,  il ministero della Salute e  il ministero dell’Interno. E, nomi a parte, su ognuno di questi ministeri il centrodestra dovrà compiere alcune scelte di campo. Sulla Giustizia, per esempio, avrà il coraggio di scommettere fino in fondo sul modello del garantismo alla Nordio, per così dire, puntando sul quale la Meloni & Salvini associati sarebbe costretta a fare i conti con alcuni peccati storici della destra di lotta (giustizia punitiva, garantismo a targhe alterne, logica dello scalpo, presunzione di colpevolezza,  metodo del cappio, disprezzo per i detenuti, forche erette a furor di popolo, giustizialismo securitario, disprezzo dello stato di diritto)?

Anche sul ministero dell’Interno il centrodestra dovrà scegliere uno dei due profili possibili presenti oggi sul campo: un profilo battagliero, modello clone di Salvini, desideroso di riportare in auge la stagione dei porti chiusi, poi mai davvero chiusi, o un profilo di governo, desideroso di affrontare l’immigrazione non come uno strumento elettorale ma come una via utile per lavorare a un’Europa più solidale. Lo stesso ragionamento vale per il ministero delle Infrastrutture, che in tempi di Pnrr è un ministero decisivo, e che non sarebbe una tragedia se a guidarlo fosse proprio il leader della Lega, Matteo Salvini, che tra i tanti difetti che ha, e ne ha molti, non ha quello di essere un sostenitore dell’immobilismo come unica forma di legalità consentita, e in fondo il governo gialloverde, nel 2019, cadde anche perché il M5s non voleva fare l’alta velocità Torino-Lione mentre la Lega sì (ma poi, si chiederà ancora oggi forse Danilo Toninelli, a Lione chi ci vuole andare davvero?).


Una scelta di campo, per così dire, andrà fatta anche sugli altri due ministeri sui quali si misurerà la capacità da parte dei populisti sovranisti di essere incoerenti con se stessi. Vale per tutti i ministeri che abbiamo elencato finora ma vale anche per il ministero della Salute e per quello dello Sviluppo. Nel primo caso, la destra nazionalista dovrà scegliere se essere coerente con il suo recente passato semi negazionista e se continuare cioè a soffiare forte sul complottismo vaccinista, sulle trame oscure costruite da Big Pharma, terreni questi che negli ultimi anni sono stati presidiati con forza da tutti i vecchi no euro in cerca di nuova linfa e nuove identità. Nel secondo caso, invece, la destra nazionalista dovrà decidere se scommettere o no su un volto capace di essere non un alfiere del protezionismo, deciso cioè a considerare il mercato come un nemico da cui difendersi, deciso cioè a confermare la sottomissione della destra alla piattaforma no global ereditata dalla stagione di Porto Alegre, ma deciso al contrario di essere un buon testimonial delle opportunità offerte dalla globalizzazione, capace cioè di aiutare le imprese in difficoltà a rigenerarsi non a colpi di aiuti di stato ma a colpi di incentivi per essere più competitivi nel mercato globale. Lo scoppiettante inizio della legislatura non promette nulla di buono, e le sportellate viste ieri al Senato promettono di non essere le prime, ma se il centrodestra di governo ha davvero scelto di considerare il governo gialloverde, quello del 2018, come un modello da tenere a debita distanza è possibile che nei prossimi giorni, quando la Meloni & Associati dovrà scegliere quale volto selezionare tra quello del Dr Jekyll e quello di Mr Hyde, scelga di deludere i suoi follower e scelga di fare un passo lontano dalla stagione del complottismo estremista. Sei caselle, sei mosse, sei scelte, per capire se a destra c’è qualcosa in più oltre all’allegro metodo del vaffa. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.