Foto di Ettore Ferrari, via Ansa  

speranze di governo

Con Giorgetti all'economia, Meloni potrebbe far tornare l'Italia alla politica

Giuliano Ferrara

Maggioranza e opposizione avrebbero da guadagnarci da guida non tecnica dell’economia. Finirebbero equivoci e alibi e complottismi a sfondo sovranisteggiante. E il leghista sarebbe la persona giusta

Tutto pur di uscire dall’incubo stordente degli incontri a girandola impazzita del centrodestra, e dalla questione di quanto sia draghiana o no Giorgia Meloni, tutto pur di uscire dalla mistura di psicoanalisi e demagogia concorrenziale che si ravvisa nello spazio di centrosinistra (uno spazio oggettivo e residuale, non un soggetto coalizzato). Il punto di partenza, si può azzardare, sarebbe la scelta di un ministro dell’Economia che sia un politico, come parrebbe nel caso fosse credibile il nome avanzato di Giancarlo Giorgetti. I dati del Fondo monetario internazionale, positivi per l’anno in corso, dicono che ci aspetta un anno duro di recessione e inflazione (calante ma sempre vivace), dicono che siamo vittime designate, con la però più solida Germania, della crisi dell’energia e che la nostra unica speranza sono gli investimenti, cioè la capacità di spendere i soldi del Piano di ripresa concordato in Europa.

 

Un governo con la testa sulle spalle dovrebbe partire di qui, e una guida politica dell’economia determinerebbe una diretta e chiara responsabilità di esecutivo e maggioranza, senza equivoci e alibi e complottismi a sfondo sovranisteggiante. Giorgetti sembra in questo senso la persona giusta, a un ministro uomo di partito competente non si addice reverenza per le promesse elettorali a sfare pronunciate alla bell’e meglio prima del voto. Deve stabilire e rispettare tempi esecutivi, se non voglia uscirne con le ossa rotte, lui e la compagine di cui fa parte. Anche le opposizioni avrebbero qualcosa da guadagnare da una conduzione non tecnica dell’economia italiana, e nel confronto e nello scontro con un governo in pieno possesso delle sue facoltà potrebbero cercare di uscire dal concorso di bellezza tra identità ideologiche e bellurie retoriche. 

 

Una definizione di sostanza politica del governo Meloni e della sua maggioranza aiuterebbe a uscire dalla peggiore delle guerre culturali, quella tutta italiana, tra immagine e memoria, dell’antifascismo e del fascismo, entrambi concetti storici e non più bandiere militanti, fatto salvo il carattere antifascista della Repubblica costituzionale (con il quale non si fa politica se non oratoria), e proporrebbe non una gazzarra sui modelli di società, sulle passioni empatiche e sulle emozioni, ma un rilancio delle questioni politiche, sociali e parlamentari che i governi patchwork, nonostante i loro meriti, e le esperienze di unità nazionale, finalmente e per troppo poco tempo con un uomo solo al comando, hanno offuscato negli ultimi anni.

 

L’unico vero vincolo istituzionale resterebbe, ciò che è decisivo, la politica estera e di difesa, il lavoro a tutela delle alleanze euro-occidentali, cose su cui non è lecito scherzare. Per il resto, che è parte importante della vita quotidiana dei cittadini, dei lavoratori e delle imprese, si verificherebbe un confronto più libero e disinibito tra valori, ma non quelli fumosi della sfera etica, piuttosto quelli della capacità di padroneggiare una crisi da parte di chi è al potere e delle funzioni di controllo e di alternativa di chi è all’opposizione. È come se cadesse un travestimento, il mascheramento obbligato di una situazione di stallo in cui i partiti devono delegare a formule di cui non sono del tutto responsabili il funzionamento della politica.

 

Una volta fu l’alleanza da ictus tra grillini e leghisti, un’altra volta il rovesciamento obbligato delle alleanze dopo la crisi isterica dei pieni poteri, che solo una fase trasformista poteva curare, infine il commissariamento presidenziale con tutti dentro e con la carta assoluta di Mario Draghi. Ora sarebbe desiderabile il ristabilimento del criterio governo-alternativa, evitando la guerra sulla parola “pace”, con le ipocrisie di sempre del pacifismo militante, e altri psicodrammi. Se la donna di partito Meloni aiutasse un ritorno alla politica, e l’opposizione accettasse questo gioco virtuoso, sarebbe un passo avanti anche se ancora in terra incognita.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.