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il commento

Pd, M5s e Terzo polo: divisi si perde

Giuliano Ferrara

L’autolesionismo di chi, da alleato, poteva sovvertire i pronostici e invece ha optato per la sconfitta

Dio acceca coloro che vuol perdere (per non parlare di coloro che vogliono perdere). La sconfitta è un blasone, certo, dell’anima bennata, ma è anche una strana libido da psicoanalisi, da psicologia del profondo. I dati dicono che Pd, grillozzi e calendiani, sommati, hanno avuto più voti del centrodestra. Il povero e onesto Enrico, primi della classe ultimi nella vita, ha ammesso che la sconfitta viene dal mancato formarsi di un campo largo e competitivo, attribuendo la responsabilità del disastro ai grillozzi e a Calenda. D’altra parte tutti hanno fatto finta di non sentire ma Berlusconi, tra una minchiata e l’altra, come al solito l’aveva vista giusta, perché è tutto tranne che un moralista: vinceremo, aveva detto, perché il Pd e i grillozzi non si sono messi insieme, punto.

 

Ora i libidinosi consumatori della vittoria, misurata peraltro ed evitabile, di Giorgia Meloni e del centrodestra, che invece sono tutti moralisti di quella schiatta che è così pura che alla fine qualcuno più puro la epura (Nenni), affermano baldanzosi: era politicamente impossibile che si mettessero insieme quei tre soggetti, l’aritmetica non è politica, hanno fatto la campagna gli uni contro gli altri e per questo hanno preso più voti del centrodestra, ma erano inutilizzabili in comune, uniti avrebbero perso. Mah. E’ un tentativo di storia controfattuale, fatta con i se: se uniti, avrebbero perso. La realtà, non controfattuale, è che erano uniti fino a un minuto prima di disunirsi, e solo la libidine autolesionista li ha spinti a cercare ciascuno un’identità opposta a quella dei potenziali alleati nella battaglia decisiva dei collegi maggioritari. Il Pd aveva governato con i grillozzi sia con il Bisconte sia con il governo Draghi, e predicava il campo largo anche con qualche enfatizzazione strategica inopportuna.

 

A un certo punto Conte ha cercato un suo spazio, sulla questione dell’inceneritore e della famosa agenda sociale, e Draghi lo ha scaricato perché ne aveva piene le palle, comprensibile. Il Pd però le palle doveva contarle alle elezioni, e gli sarebbe convenuto un accordo tecnico nei collegi, che avrebbe consentito per il proporzionale di mantenere ciascuno un suo profilo, salvo farlo contare per via dell’affiliazione maggioritaria. Il centrodestra era diviso molto di più del centrosinistra o come volete chiamare l’accozzaglia anti Meloni, chi al governo e chi all’opposizione, da cinque anni: ci ha messo un nanosecondo a scaricare la divisione identitaria e ad abbracciare lo spirito della legge elettorale con il quale si dovevano fare i conti, ovvio, e ciascuno di loro ha pagato un prezzo, ma vanno al governo, che sarebbe forse anche lo scopo delle elezioni politiche.

Non parliamo poi dell’ottimo Carlo Calenda. Lui aveva addirittura teorizzato la necessità stringente della coalizione, aveva firmato un patto solenne in quel senso con il Pd, poi ha deciso per la purezza di chi prende l’Italia sul serioso, per la moralità della politica riformista, per il Moloch rigassificante che non si sa ancora di che colore sarà per via della sovrintendenza di Piombino, ha deciso la corsa solitaria per finire adesso con la triste constatazione che l’Italia è un paese alle vongole (sai che novità: votano come al “Grande Fratello”, ha detto corrucciato, e poteva aggiungere che Mazzini los italianos se lo sono scordato da mò, e nessuno pensa sia urgente rifare il liceo classico).

 

Non è che non potevano unirsi per contendere i collegi a quelli che erano divisi (e che invece si sono uniti fulmineamente per lo stesso obiettivo), è che si sono disuniti per una libidinosa volontà di autocastrazione che sarà studiata nei manuali di politica per generazioni. La destra, tranquilla e divisissima, aveva tre o quattro identità o linee e le ha fatte convergere nel maggioritario dei collegi, che ha preso quasi tutti, lasciando spazio all’egotismo nel proporzionale, e menando il centrosinistra. Gli altri no, hanno fatto l’inverso. E sono stati menati. Non è più complicato di così.

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.