Titolare di una gelateria espone la bolletta della luce triplicata (Foto Ansa) 

bollette in aumento

Contro il caro energia non serve più debito, serve più Europa

Claudio Cerasa

L’ultimo schiaffo di Draghi ai populismi, che continuano a portare più problemi che soluzioni. L’emergenza energetica tra bollette più care e programmi vuoti

Il saggio interesse mostrato improvvisamente dai principali partiti italiani sul dossier del rincaro energetico ha messo di fronte agli occhi degli osservatori due temi diversi che meriterebbero di essere sviscerati con attenzione per capire in che senso, anche quando si parla di bollette, le ricette dei populismi tendono a essere parte più dei problemi che delle soluzioni ai guai dell’Italia.

 

Il primo tema ha a che fare con una doppia notizia che potrebbe  permettere ai paesi europei, compresa l’Italia, di governare con maggiore efficacia il caro bollette. Ed entrambe le notizie passano incidentalmente dall’Europa. La prima riguarda una svolta maturata ieri, confermata al Foglio da Palazzo Chigi: il governo tedesco, dopo mesi di ambiguità sul tema, ha fatto sapere di essere pronto a valutare positivamente la proposta italiana di un tetto al prezzo del gas in Europa. La proposta, meglio conosciuta come “price cap”, era stata già avanzata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen al vertice informale di Versailles in marzo, su spinta del governo italiano, e l’obiettivo del price cap  europeo sarebbe più o meno questo: riconoscere che il mercato ha temporaneamente fallito il proprio compito, reagendo istericamente o speculativamente all’idea che potesse venire meno da un giorno all’altro il gas russo e che esso non fosse sostituibile e creando una spirale impazzita del prezzo del gas e di conseguenza del prezzo dell’energia elettrica a esso agganciata, e imporre così temporaneamente con norma europea un tetto al prezzo del gas scambiato all’interno degli hub europei, in particolare all’interno dell’hub olandese (Ttf), a un prezzo tale da remunerare comunque i produttori (che già oggi incassano fino a quindici volte in più di ciò che incassavano prima della pandemia) e da non scoraggiare gli importatori di gas in Europa al punto da suggerire loro di chiudere definitivamente i rubinetti verso l’Ue (la proposta discussa finora è orientata sugli 80/100 euro a MWh).

 

Il price cap resta dunque un’opzione possibile e che potrebbe avere un impatto concreto e immediato sulle bollette delle famiglie e delle imprese, ma resta un’opzione ancora di là nel tempo, prima della quale la Commissione potrebbe presto arrivare a un obiettivo altrettanto concreto: il cosiddetto decoupling del gas dal mercato elettrico, dove per decoupling si intende un disaccoppiamento tra il prezzo del gas e il mercato elettrico. Il secondo tema, invece,  che emerge purtroppo in modo chiaro osservando le proposte dei principali partiti italiani sul tema energetico, riguarda un problema non di poco conto che ha a che fare con alcune soluzioni proposte da molti leader politici di fronte ai guai collegati al caro energia. E il problema, anche qui, è presto detto: più la campagna elettorale va avanti e più risulta evidente quanta tossicità ci sia nelle piattaforme politiche dei grandi partiti. Prendete Matteo Salvini, che non solo chiede al governo di operare con pieni poteri sui dossier energetici, giusto poche settimane dopo aver tolto i poteri al governo mandandolo a casa, ma che di fronte alle problematiche vere generate dall’inflazione energetica non trova nulla di meglio da fare che chiedere al governo di aumentare il debito pubblico. 

 

Ignorando, così, il fatto che le misure di attenuazione sono finanziabili anche senza scostamenti di bilancio e ignorando il fatto che un paese molto indebitato che chiede di indebitarsi ulteriormente non soltanto si preoccupa di mettere una pezza a un problema che promette di essere strutturale ma dimostra di non avere alcun interesse a coltivare una prudenza sulla spesa resa necessaria oltre che dal buon senso anche dalle regole presenti all’interno dello scudo antispread della Bce, attivabile in caso di necessità solo a condizione che un paese membro rispetti le raccomandazioni europee (che per l’Italia significa avere cura del suo debito). Prendete Matteo Salvini, dunque, ma prendete anche Giorgia Meloni, che mentre sostiene di non voler mettere a rischio l’agenda Draghi sulla politica energetica, oltre che su quella internazionale, non è in grado neppure di  imporre a un suo sindaco, quello di Piombino, di ospitare un rigassificatore necessario per aumentare la propria indipendenza dal gas russo e necessario per poter evitare un eventuale deficit energetico nei prossimi mesi.

 

Prendete il centrodestra, dunque, ma prendete anche il vecchio centrosinistra, la vecchia maggioranza giallorossa, all’interno del quale il M5s, oltre che essere ostile ai rigassificatori, è ostile anche a estrarre maggiore gas dai fondali marini del paese e dove il Pd, oltre a essere ostile a un mix energetico futuro basato anche sul nucleare di nuova generazione, come suggerisce la famosa agenda Draghi, e oltre a essere alleato con un partito ostile al rigassificatore a Piombino (Fratoianni & co), mostra di essere poco interessato a togliere un po’ di potere a tutte quelle sovrintendenze che  da anni, a colpi di veti, a colpi di vincoli paesaggistici, tentano, triangolando con la magistratura più ideologizzata, di rallentare gran parte dei progetti che potrebbero permettere all’Italia di avere, sul suo territorio, una quantità maggiore di energia rinnovabile.

 

Per un paese come l’Italia, dunque, è impossibile non lavorare in parallelo sulla crisi energetica e sulla possibile crisi finanziaria. E per farlo, per evitare che le risposte utili a tamponare una crisi energetica possano a loro volta innescare una crisi finanziaria, i partiti desiderosi di rompere fino in fondo le proprie catene del populismo più che proporre o suggerire più debito, più scostamento, avrebbero solo due strade: scommettere su un mix energetico neutrale, puntando cioè su tutte le fonti energetiche che potrebbero aiutare l’Italia a essere più indipendente, o se volete sovrana, e scommettere, oltre che su sostegni temporanei mirati alle famiglie e alle imprese più vulnerabili, all’unica realtà che ha dimostrato, sia in tempi di pandemia sia in tempo di guerra, di avere la forza per governare le grandi emergenze: l’Europa. Più Europa, meno debiti, meno ideologia, più soluzioni.

 

E mai come in questi giorni, sull’energia, l’agenda Draghi, fatta eccezione per il partito di Renzi e Calenda, sembra essere lontana un miglio rispetto a quella squadernata in campagna elettorale dai grandi partiti. L’emergenza energetica, in fondo, è anche questa: bollette care e programmi vuoti. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.