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Per il dopo Zingaretti in Lazio nel Pd è già battaglia. E Letta guarda Calenda

Gianluca De Rosa

Franceschini ha criticato Zingaretti: "Mi dispiace che un segretario nazionale se ne sia andato denunciando il mal delle correnti, ma capita di sbagliare”. Ma il suo messaggio era anche per il segretario Letta. La candidatura di Daniele Leodori non sarà ritirata. Si rischiano primarie con tre candidati del Pd

Alessio D’Amato e Carlo Cottarelli. L’assessore del modello Lazio al contrasto alla pandemia e l’economista riserva della Repubblica. Due profili distantissimi, ma con una caratteristica comune. Sono gli uomini che Carlo Calenda vorrebbe per le regionali del 2023 in Lazio e Lombardia, ma, soprattutto, sono gli stessi candidati che, dicono i rumors, piacerebbero anche al segretario del Pd Enrico Letta. Indizi indicativi. E se mentre il M5s esplode il campo largo lettiano si spostasse al centro? La suggestione è legittima. Dopo la scissione di Luigi Di Maio e le minacce di Giuseppe Conte al governo, l’alleanza rossogialla traballa come non mai. Il rimescolamento dei partiti è in corso e, dunque, può accadere di tutto. E le regioni potrebbero essere un segnale. Anche perché D’Amato e Cottarelli hanno una caratteristica comune: sono indipendenti, lontani dalle dinamiche spartitorie che vigono, in parte, dentro il Pd. D’Amato è iscritto al partito, ma è un tecnico con un passato in Rifondazione, mentre Cottarelli (come ha ricordato Calenda) fa parte delle Agorà democratiche tanto care al segretario, come strumento che dovrebbe riportare “la politica tra la gente”. Pensieri pericolosi. Soprattutto in Lazio dove la battaglia è già cominciata. Per Letta, opinioni personali a parte, sarà una grana piuttosto complessa da risolvere. Il segretario deve averlo capito benissimo due giorni fa, quando il ministro della Cultura Dario Franceschini ha parlato a Cortona, alla convention della corrente che guida (e che è ancora oggi la più numerosa nel partito) AreaDem. Nel suo intervento, senza mai citarlo, ha criticato aspramente Nicola Zingaretti. “Se le correnti sono i luoghi in cui si pensa e discute, e ci si aggrega intorno alle idee alle leadership, allora sono il bene del partito, mi dispiace che un segretario nazionale se ne sia andato denunciando il mal delle correnti, ma capita di sbagliare”. Riferimento piuttosto esplicito all’addio del marzo 2021. Ma perché tirare fuori di nuovo quelle dimissioni a più di un anno di distanza?  Le frasi del ministro potevano sembrare intempestivie solo all’apparenza. In un partito di vecchie volpi tutti hanno interpretato senza difficoltà il sottotesto. Si guarda al Lazio. E il messaggio è a Zingaretti, ma anche a Letta. Per il futuro della regione Franceschini ha già calato il suo cavallo. Si tratta di Daniele Leodori, vicepresidente della Regione ed ex presidente del consiglio regionale, inventore del patto d’aula, che ha permesso a Zingaretti di governare nonostante una maggioranza ballerina e, soprattutto, dell’alleanza con il M5s. La candidatura “a eventuali primarie”, nonostante le richieste delle altre anime del partito che spingevano per prendere tempo, è già stata annunciata. E non si torna indietro. Alle stesse “eventuali primarie”, si era già candidato anche D’Amato. 

Per cercare di trovare una quadra, sull'asse Campidoglio-Regione, e con la benedizione di Goffredo Bettini, è spuntato così un terzo nome. Quello di Enrico Gasbarra, ex presidente della Provincia di Roma.  Ma di nomi “calati dall’alto” in AreaDem non ne vogliono sentire, convinti come sono che Leodori vincerebbe le primarie senza alcuna difficoltà.

 Nelle scorse settimane gli uomini vicini al vicepresidente avevano festeggiato le parole pronunciate da Letta sulle elezioni in Sicilia. “Quando c’è un candidato presidente le primarie sono la via obbligatoria”, aveva detto il segretario. Ma tra il Lazio e la Sicilia c’è una differenza abbissale. Sull’isola il Pd ha una sola candidata, Caterina Chinnici (figlia del giudice Rocco), che se la giocherà con quelli di M5s e sinistra, in Lazio, invece, il Pd ha già due candidati e c’è il rischio che spunti pure il terzo (Gasbarra appunto). Ieri le due posizioni si sono nuovamente confrontate nel corso della direzione regionale del partito senza che si trovasse una quadra."Non mi piacerebbe vedere un congresso del Pd mascherato da primarie perché questa cosa non serve a nessuno. Si può trovare un buon candidato che metta insieme tutti", diceva ieri la consigliera regionale di Italia Viva Marietta parlando con l’Agenzia Dire. Toccherà ora al Nazareno sbrogliare la matassa che intanto si è creata. E non sarà semplice.

Anche perché entra in gioco anche la questione delle alleanze. Carlo Calenda ha detto chiaro e tondo a questo giornale che il suo partito non parteciperà a primarie e che sosterrebbe solo D’Amato, mentre con Leodori e Gasbarra non sarebbe della partita. Una presa di posizione che vale molto di più di un capriccio. Per vincere in Lazio il campo largo, anzi larghissimo, non è solo un progetto ideale, ma anche, e soprattutto, l’unica strada possibile. Senza – lo sa Franceschini, lo sa Zingaretti e lo sa Letta – il centrodestra avrebbe la strada spianata. Soprattutto se si conta che Calenda a Roma (che vale più della metà della popolazione regionale), meno di un anno fa ha preso quasi il 20 per cento.