(foto di Andisheh A su Unsplash) 

dolce far niente

Un popolo di finti malati e approfittatori. I bonus sono solo l'ultima beffa

Ester Viola

Offre lo stato: cioè in gran parte ancora noi, con le tasse. Dopo il lockdown restare a casa in malattia non è più un problema, e le aziende soffrono

Beati quelli che leggono “il maxi imbroglio dei bonus” e pensano che è un grande guaio, una ferita a morte alla dignità, un precedente pubblico gravissimo. E’ solo l’annosa prassi, spiccioli, ora li leveranno di mezzo, i bonus, e l’emorragia si fermerà. Il danno è fatto ma vabbè, vuol dire che il debito virtuale pro capite dei posteri aumenterà. Insomma se vuoi bene ai tuoi futuri figli, meglio se non li fai. I bonus sono solo l’ultima beffa. Siamo proprio dei fessi a pensare ogni volta che si possa fare qualcosa di buono per la collettività contando sul buon senso non dico di tutti, ma almeno della metà. Come se non lo sapessimo che tra etica o no, l’italiano sceglie no. I soldi. Dobbiamo guardarci in faccia e nessuno sentirsi escluso. Dobbiamo ammettere che tentare di mungere, approfittare, barare, arraffare è un problema genetico. Abbiamo la malattia, in Italia.  Sarà che l’educazione civica deve essere insegnata all’asilo, possibilmente a sberle. Sarà poi anche l’umana natura: buon selvaggio sì, ma se ci sono i denari devo fotterti, è più forte di me.

 
Questa premessa in autodenigrazione mi serviva per il due più due che sto per fare. E’ una riflessione squallida, metto le mani avanti, ma qualcuno doveva pur farla. C’è di nuovo, negli ultimi tempi, che la gente ha assaggiato il lockdown e le è piaciuto assai. Il lavoro da remoto è diventato il sogno di tutti, nessuno firma più contratti in presenza. Anzi stracciano i vecchi, di contratti. Se ne vanno. O mi lasci a casa mia o non vengo più. Stessa cosa per i colloqui: girano e cercano finché non trovano chi dice loro: ehi! Qui si fa smart working. Stattene dove vuoi tu. Ci vediamo quando ci vediamo. Forse è anche il momento di usare parole grosse senza paura: è arrivata la quarta rivoluzione. La rivoluzione passivo-aggressiva del terzo stato, funziona meglio e non servono manco i sindacati. Prima c’erano le piazze, ora i “ciao me ne vado”.

 

Il problema che si presenterà nei prossimi anni è che tra intolleranze al lavoro del modello 1900, grandi dimissioni per cercare qualcosa di meglio che non esiste, anelito a una fauna di colleghi carini gentili e ok, sta aumentando una pratica che già in passato era di gran voga. Conoscerete tutti il grande classico: mi metto in malattia. L’italiche genti si mettono in malattia un po’ per tutto. I malati veri non si toccano ma non sono così tanti. La maggioranza è variamente composita: basta sono stanco mi piglio tre giorni di vacanza. Perché il capufficio mi rimprovera? Allora adesso me la paghi, mi rivedi tra un mese e il progetto nuovo te lo smazzi tu. Mi trasferiscono, e io non ci voglio andare in treno all’altra sede a diciannove chilometri, mi metto in malattia. Sento odore di licenziamento, mi metto in malattia. Voglio girarmi intorno, fare colloqui di lavoro, tanto adesso sono tutti in videocall, nel frattempo mi metto in malattia. Mica sono scemo che mi dimetto prima. E’ facilissimo. Come si fa ad avere un periodo di malattia superblindato, che succede concretamente? Vai dal medico, dichiari: mi sento strano ho l’ansia mi gira la testa. Benissimo, ecco a lei il certificato, sono sette giorni, poi nel caso rinnoviamo. A volte, quando il rapporto d’amicizia col medico è buono, si fa come al juke box: sto male al lavoro mi servono dieci giorni.

 

Ecco a te.
Grazie.
Ciao.
Ci vediamo.

 

Nel passato esisteva un metodo. E cioè: visite fiscali inviate dall’azienda. Ci sono fasce di reperibilità da rispettare, per chi è in malattia. E se non ti trovano sono guai. Siccome al Daspo non ci voleva stare nessuno, a un certo punto – una settimana, due, tre – il malato non ne poteva più di stare in casa come in galera, guariva e tornava al lavoro. Domanda. Fino a quanto si può stare malati? Fino a un attimo prima del superamento del comporto. Il comporto è un periodo massimo di assenze consentite. Che arrivano fino a sei mesi, 180 giorni.   

 
L’onesto cittadino si chiederà: ma come? E il medico fiscale? Non riconosce il finto dal vero? Il medico fiscale è citofonatore. Non gli si può chiedere di più. Troppo grossa la responsabilità di mandarti di nuovo al lavoro. E quindi stati ansiosi, depressione, veri o inventati, chissà. Intanto ecco a lei il certificato di conferma, stia bene, Ponzio Pilato. Obiezione. In un mondo migliore, di tutto questo si potrebbe dire: certe volte è un po’ la rivolta dei deboli contro i forti, no? Che male gli fa al megadirettore galattico se sto un po’ a casa, con tutti i miliardi che fa. Quello stronzo. E infatti, pagasse il padrone, non dico che sarei contenta, ma sono cento grammi di prosciutto di giustizia sociale e che si fa? Io li lascio. La legge però stabilisce che per queste giornate a casa interviene l’Inps. L’ammontare dell’indennità di malattia dovuta dall’Inps è pari a una percentuale della retribuzione media giornaliera: il 50 per cento dal 4° e fino al 20° giorno di assenza, e il 66,66 per cento dal 21° giorno, fino a un massimo di 180 giorni.

 

Insomma le malattie finte che eravamo ben disposti a perdonare a condizione che colpissero il capitalismo, non sono tutte pagate dal megadirettore galattico. No. Per niente. Metà le paga l’Italia, le tasse, noi! Ce l’abbiamo sul gobbo noi. E ora consideriamo il cambio epocale degli ultimi tempi. E cioè che la gente ha scoperto che la vita del sorcio le piace. Avete fatto due più due? Vi è venuto quattro? All’inizio pensavo fosse una barzelletta, un’ottusa idea di un’orrenda malpensante (io). Poi i pezzi si sono messi insieme ed  è arrivata una conferma dove non l’aspettava nessuno. Le aziende cominciano davvero ad avere problemi di comporto lungo. Ovvero dipendenti che usano tutto o quasi il tempo di malattia a disposizione e poi lasciano il lavoro. Sono mesi adesso che qui assistiamo (pure un poco basiti) a casi di malattie lunghissime inspiegate e gente che non esce di casa. Tanto ho Netflix, i social, Amazon, lo shopping online, nel frattempo mando curriculum, faccio colloqui online e leggo articoli inutili come questo. Che mi manca? Niente. Con ’sto caldo poi. Chi si muove. Hai mai pensato a qualche mese di vacanza a casa? Offre lo stato. Altro che grandi dimissioni, altro che bonus facciate, vedrete.

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