Il piano

L'operazione bulloni di Draghi e Mattarella contro i populismi del futuro

Claudio Cerasa

Agevolare la successione in Bankitalia con un anno di anticipo (ottobre 2022). Votare a maggio. Far gestire a questo governo le grandi nomine. Gli argini di Quirinale e Palazzo Chigi, tra novità e qualche paletto

Che cos’è l’operazione bulloni? La notizia è grossa ma per poterla comprendere deve essere contestualizzata: alla fine di ottobre, un anno prima della scadenza naturale, il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, potrebbe dimettersi dal suo incarico, alla guida di Palazzo Koch, e potrebbe farlo spinto da un senso di responsabilità derivato dalla delicata fase storica in cui si trova oggi il nostro paese. La notizia è gustosa, è stata confermata al Foglio da alcune fonti importanti, ed è una notizia che va collocata all’interno di uno specifico schema di gioco condiviso dalle più importanti istituzioni del paese. Lo schema prevede la necessità di utilizzare i prossimi mesi, i mesi che ci separano dalla fine della legislatura, per irrobustire la spina dorsale del paese, per mettere l’Italia in sicurezza, per offrire al Piano nazionale di ripresa e resilienza delle gambe forti su cui poggiare nel futuro e per far sì che il tandem che guida oggi l’Italia con successo (Sergio Mattarella e Mario Draghi) possa contribuire a introdurre nel  tessuto del paese il maggior numero possibile di bulloni utili a tenere saldi gli argini dell’anti populismo.
 

Mario Draghi, due giorni fa, nella più politica delle dichiarazioni mai offerte da quando si trova a Palazzo Chigi, ha rammentato che l’Italia del futuro deve essere consapevole che gli spettri del passato possono ancora tornare – “la crisi energetica non deve produrre un ritorno del populismo”, ha detto il premier al G7e la volontà di prevenire il populismo a livello istituzionale la si registra ormai su fronti molto diversi l’uno dall’altro. Il tassello del governatore Ignazio Visco, per esempio, potrebbe essere uno di questi. E nominare con un anno di anticipo il suo successore, puntando magari su un profilo che potrebbe assomigliare a quello di Fabio Panetta del board della Bce, darebbe la possibilità di evitare che il dopo Bankitalia possa essere un domani espressione di nuove istanze populiste. Ma il tassello di Bankitalia è solo uno dei tanti utili a inquadrare il mosaico della stabilizzazione dell’Italia (stabilizzazione che per il momento è passata anche dalla riconferma dei vertici dell’intelligence: altri quattro anni per Giovanni Caravelli come direttore dell’Aise, e altri due anni per Mario Parente, alla guida dell’Aisi). E all’interno di questo quadro ci sono altri fattori che permettono di capire in cosa consiste, al netto del futuro di Draghi, l’operazione continuità. Continuità, innanzitutto,  intesa come azione di governo. E il risultato delle amministrative sembra essere un incoraggiamento rispetto all’idea che questa legislatura possa essere sciolta non prima dell’ultimo giorno utile.
 

La legislatura, come è noto, scade cinque anni dopo la prima riunione delle Camere, che è stata il 23 marzo 2018, lo scioglimento regolare sarebbe dunque il 23 marzo del 2023, per Costituzione si deve votare entro 70 giorni dallo scioglimento e in questo modo le elezioni non avverrebbero prima della fine di maggio: tra undici mesi. In undici mesi c’è tempo per scegliere, oltre al nuovo capo di Invitalia che verrà comunicato nelle prossime ore dal governo (chissà se verrà confermato al posto di Domenico Arcuri un profilo come Enrico Pazzali, presidente di Fondazione Fiera Milano), anche il nuovo capo dell’Agenzia delle entrate (Ernesto Maria Ruffini scadrà il 30 gennaio del 2023 ma la volontà da parte del governo è quella di riconfermarlo). E in quest’arco di tempo, poi, c’è anche lo spazio per poter gestire alcune nomine importanti come quelle che dovranno essere depositate entro marzo. Nomine di società partecipate dal Mef come quelle di Eni, di Enel, di Poste, di Terna, di Leonardo, tra le cui file il governo potrebbe fare uno strappo alla regola datasi in questi mesi di non confermare nessuno degli ad uscenti (l’unico ad delle grandi società partecipate confermato da Draghi è stato l’ad di Italgas Paolo Gallo) e riconfermare alcuni (non tutti) degli attuali amministratori delegati. Irrobustire l’Italia consolidando gli argini che hanno permesso al paese di tenere lontano il populismo dall’agenda di governo senza dare per scontato il fatto che a guidare l’Italia di  domani ci sia la stessa identica Italia di oggi. L’operazione bulloni, in fondo, passa anche da qui, e chissà che il risultato delle amministrative non la renda ancora più semplice.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.