(foto Ansa)

lo scenario

Dopo il flop amministrative, è la Sicilia il crocevia dei prossimi guai per il centrodestra

Luca Roberto

L'incomunicabilità tra Salvini, Meloni e Berlusconi ha portato alla sconfitta nelle città, che potrebbe avere ripercussioni sulla tenuta della coalizione. E intanto per le prossime regionali l'accordo è ancora in alto mare

Oramai nel centrodestra si stanno abituando, nel day after, a raccogliere i cocci. E così quell'intento unitario che ha animato sottilmente la chiusura della campagna elettorale, a ogni nuova sconfitta finisce per dissolversi. Lasciando solo l'eco di una frattura ancor più grossa. Salvini, Meloni e Berlusconi guardando all'esito elettorale delle amministrative questa notte non hanno preso sonno: non si aspettavano di certo di confermare in blocco le 13 città capoluogo al ballottaggio in cui erano amministrazione uscente. E però la sconfitta in alcuni luoghi simbolo ha prodotto strascichi non indifferenti. Guardare al caso Verona per credere

Lì se si sommano le preferenze raccolte al primo turno, il centrodestra staziona oltre il 60 per cento. Ma le diffidenze, i rancori personali, l'ostracismo nei confronti di quelle che erano vissute come forme di condizionamento, hanno consegnato la città al centrosinistra dopo 15 anni, modello campo largo. E se subito i leader hanno accusato il sindaco uscente Federico Sboarina per aver negato l'apparentamento con il terzo classificato, l'ex sindaco Flavio Tosi, lui si è difeso: "Lo rifarei mille altre volte". Insomma, meglio andare per la propria strada che verso la vittoria. Non il massimo quando si tratta di costruire una coalizione competitiva.  Che poi proprio sul palco di Verona, per l'appunto, Giorgia Meloni e Matteo Salvini avevano dissimulato una comunione d'intenti che poco si abbinava alla realtà dei fatti: i due non si erano più incontrati dalla partita del Quirinale. Quella in cui il centrodestra in teoria aveva il pallino in mano e dove invece si è consumato a suon di candidature bruciacchiate una dopo l'altra. Un mutismo che dagli osservatori veniva vissuto come l'incomunicabilità di coppia che prelude a una separazione. Ma sull'incrinatura di quel rapporto ci sono ulteriori elementi.

 

Era solo lo scorso marzo, al quasi matrimonio con Marta Fascina, che Silvio Berlusconi investì Salvini del ruolo di "unico vero leader che c'è in Italia". Sembrò quasi un modo per dire alla Meloni, in rampa di lancio nei sondaggi: per essere leader, per governare, dovrai fare i conti con noi. E infatti non è un caso che i tre siano tornati a vedersi solo dopo molte settimane. Con la leader di Fratelli d'Italia che covava da tempo il sospetto che, forse, il più grande ostacolo per andare a Palazzo Chigi ce l'aveva all'interno dell'alleanza. Lo ha ribadito al Foglio anche la sorella della presidente dei Conservatori europei, Arianna: "Faranno di tutto per non farla governare". Mentre su Salvini i giudizi sono stati tutt'altro che lusinghieri: "Rinsavisca". 

Fatto sta che adesso, questa stagione di sconfitte che idealmente si è aperta con la candidatura di Enrico Michetti a Roma, porta direttamente alle regionali venture. Nel Lazio, primavera 2023, dove l'obiettivo è scardinare il post Zingaretti. E la Sicilia, in cui si voterà nell'autunno. Anche nell'isola le prospettive di arrivare presto a un accordo non sono rosee. Il governatore Nello Musumeci ha annunciato di essere disposto al passo indetro. Ma è solo una mossa propedeutica a che i tre leader si parlino, arrivino a una quadra. Non sembra ci si stia lavorando a dovere, se è vero che il plenipotenziario di Forza Italia in Sicilia Gianfranco Micciché non più tardi di qualche giorno fa al Foglio spiegava che il passo indietro di Musumeci fosse una buona notizia, "perché in questi anni ha annientato il valore dei partiti". E che però adesso bisognava fare sul serio per sedersi al tavolo.

Verona, Parma, Catanzaro e Roma ancor prima. Ora Meloni, Salvini e Berlusconi devono solo decidere se farle valere a mo' di monito. O come espressione di una coazione a ripetere che li conduce in un imbuto: il fallimento.