(foto di Ansa)

Passeggiate romane

Geografia lettiana. Da nord a sud, la mappa ragionata dei crucci del Pd sulle alleanze variabili

Il campo largo di Letta non piace a Renzi e Calenda, ma il patto con i grillini serve, specie in Sicilia. Sui candidati i rossogialli sono divisi

Enrico Letta insiste sul cosiddetto campo largo. Nonostante tutte le difficoltà che sta incontrando lungo il cammino con i 5 stelle, il segretario del Partito democratico è convinto che non ci sia altra strada, tanto più che la nuova legge elettorale non vedrà mai la luce. Eppure i problemi non sono affatto pochi. E non si tratta solo della fatidica data del 21 giugno, perché in realtà al Nazareno, nonostante le dichiarazioni doverosamente preoccupate, sono convinti che Giuseppe Conte non farà cadere il governo in quell’occasione e che basterà qualche piccolo ritocco alla risoluzione di maggioranza per convincere l’ex premier a dirsi soddisfatto e a salvare la faccia dopo essersi spinto molto oltre.

 

C’è anche la questione degli altri possibili alleati alle prossime elezioni politiche che sono restii ad andare con i 5 stelle. Carlo Calenda ha lasciato già intendere a Letta che lui non sta scherzando ma fa sul serio: andrà per conto suo e non si imbarcherà mai nell’avventura del campo largo. Matteo Renzi sembra meno netto e chi lo conosce bene scommette che alla fine potrebbe contrattare con il Pd un suo gruppetto di parlamentari, anche se lui nega che questo sia il suo obiettivo.

 

I problemi maggiori però si hanno con quelli che Letta considera i suoi alleati più scontati, ossia i 5 stelle.  Ed è sul territorio che il Pd riscontra le maggiori difficoltà con i grillini. I lavori di preparazione per le elezioni regionali ne sono un lampante esempio. In Sicilia, Conte è disposto a dare il suo sì alle primarie solo se avesse in tasca la certezza che il candidato rossogiallo non fosse del Pd. Anche un indipendente andrebbe bene all’ex premier, ma non un dem perché significherebbe consegnarsi in tutto e per tutto al Partito democratico. E questo in una regione in cui il Pd non è certamente forte.


Dal sud al centro cambiano i problemi ma si ha sempre a che fare con enormi difficoltà. Lì sono i dem a non volere cedere lo scettro al Movimento 5 stelle. I possibili candidati del Pd sono diversi (finora i più probabili sono l’assessore alla Sanità D’Amato e il vice presidente della regione Daniele Leodori). Non ci sono invece ancora candidati grillini, ma la parte del Movimento che a Roma fa capo a Virginia Raggi spinge perché il candidato alla successione a Nicola Zingaretti non sia un esponente del Partito democratico.


Infine, il nord. Cioè la Lombardia. In quella regione per il Pd sarebbe meglio cercare un’alleanza con Italia viva di Matteo Renzi e con Azione di Carlo Calenda, perché il Movimento cinque stelle ha pochi voti e soprattutto allontana i consensi di un certo elettorato cosiddetto moderato che per vincere in Lombardia è a dir poco fondamentale. Fino all’autunno non succederà niente, fanno sapere dal Nazareno, ma in realtà i riflettori sono puntati su Irene Tinagli. Donna, competente, potrebbe avere tranquillamente il via libera di Renzi e di Calenda, ma pare che la vicesegretaria del Partito democratico sia piuttosto restia a intraprendere questa avventura. Basterà qualche mese a convincerla a scendere in pista?