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Verso le elezioni

Da Monza a Sesto San Giovanni: il risiko delle amministrative per conquistare la Lombardia

Andrea Emmanuele Cappelli

Per governare la regione nel 2023 occorre (anche) vincere nei 128 i comuni in cui si vota a giugno. Con un occhio ai tre capoluoghi a guida centrodestra e alle 27 città sopra i 15mila abitanti, che potrebbero restituire equilibri nuovi

Per conquistare la Lombardia occorre vincere più di cento battaglie (dialettiche, ça va sans dire): una per ogni comune coinvolto nell’ultima tornata di amministrative sul territorio regionale. È in quest’ottica che i signori della politica e i grands commis d’état lombardi si preparano al 12 giugno, data delle elezioni in 128 province dell’Impero. Una serie di contese locali che vanno a formare le prove generali per le regionali del 2023, quando i partiti si affronteranno in campo aperto per piantare il loro vessillo in un Land da 10 milioni di abitanti (il doppio della popolazione residente in Danimarca, per rendere l’idea) dove il centrodestra, tra alti e bassi, esercita da 30 anni la sua egemonia.

 

In questo risiko, come dicevamo, sono 128 i territori da conquistare. Tre di essi sono capoluoghi di provincia: Monza, Lodi, Como, tutti governati dal centrodestra, che in questo caso giocherà in difesa. Nel centro brianzolo Dario Allevi (Forza Italia) mira alla riconferma con una solida coalizione Lega - Fi - FdI. A sfidarlo sotto la mole dell’Arengario è Paolo Pilotto (Pd), consigliere d’opposizione, insegnante e già assessore, sostenuto da un centrosinistra che più ampio non si può (Pd, Azione, IV, Possibile, SI, Psi, Europa Verde più liste civiche di area). Nota di colore: a correre con quest’ultimo è anche l’ex cantante Valeria Rossi (“dammi tre parole, sole, cuore, amore”), da anni dipendente dell’ufficio anagrafe di Paderno Dugnano, nel milanese. Se "Tre parole" hanno convinto milioni di italiani, per entrare in Consiglio comunale a Monza non ne dovrebbero servire molte di più.

 

Anche a Lodi il centrodestra punta al bis con Sara Casanova, pasionaria leghista che in cinque anni da sindaco ha dato prova di saper prendere decisioni scomode. Resta alla cronaca un episodio del 2018, divenuto caso nazionale: secondo una delibera comunale, per godere di tariffe agevolate sui servizi scolastici le famiglie dei bambini stranieri avrebbero dovuto esibire un certificato - proveniente dal loro paese di origine - che attestasse la mancanza di “redditi o beni mobili e immobili registrati”. Tradotto: se hai una villa in Senegal, niente sconto sul pulmino o per la mensa. Strali e anatemi dal centrosinistra, formazione a falange dall’altra parte: a difesa della Casanova si schierò anche Matteo Salvini. A contenderle la fascia è il giovane Andrea Furegato: 24 anni, una laurea in Economia delle imprese e dei mercati alla Cattolica di Milano, volto pulito da bravo ragazzo. Resta da vedere se l’ardore giovanile basterà per consentire alla sinistra di espugnare Lodi.

 

Più complesso lo scenario a Como. Dopo il forfait di Mario Landriscina (con tanto di j’accuse nei confronti dei vertici locali di Forza Italia), la città vede in lizza otto pretendenti al trono lariano, per un totale di 15 liste e oltre 450 candidati che si contenderanno i 32 scranni del Consiglio comunale. Il Pd darà l’assalto al forte con Barbara Minghetti, manager nel campo culturale; suo principale competitor è il medico Giordano Molteni. Quest’ultimo si trova a vivere uno strano contrappasso: ex sindaco del vicino comune di Lipomo, sconfitto nel 2020 dopo un veto di Lega e FdI sulla sua persona, oggi si ritrova a Como nel momento più difficile di sempre, costretto a mediare tra le varie anime della litigiosa coalizione di centrodestra.

 

Seguendo la metafora del risiko, vincere in questi territori significa prendersi un vantaggio in vista della “battaglia delle due torri” del 2023, quando si tratterà di prendere possesso del Pirellone e di Palazzo Lombardia, sedi del Consiglio e della Giunta regionale. Ma a pesare sono anche i 27 comuni sopra i 15.000 abitanti tra cui va annoverato Sesto San Giovanni, dove nel 2017 l’attuale sindaco Roberto Di Stefano compì un’impresa storica espugnando la ormai ex “Stalingrado d’Italia”. Oggi il sindaco - che nel frattempo ha lasciato Forza Italia per la Lega - affronterà il rivale Michele Foggetta (Sinistra italiana), che a sorpresa si è imposto sul Pd durante le primarie. Un sindaco di destra e uno sfidante più a sinistra del centrosinistra, con lo spettro dell’edificazione della “moschea più grande d’Italia” sullo sfondo. Per conquistare Stalingrado bisogna essere dei duri. A pesare saranno anche i 101 piccoli comuni, che da sempre hanno visioni molto diverse da quelle che allignano nelle grandi città, sedi della modernità e del progresso.

 

Con un centrodestra in ripresa dopo due anni complicati di pandemia e una sinistra in cerca del condottiero ideale (pare che Beppe Sala non sia disponibile, Carlo Cottarelli rischia di preparare di nuovo il trolley per niente) l’esito delle urne potrebbe creare nuovi equilibri e prospettive in Lombardia. A oggi il pallino sembra averlo chi governa: resta però da capire se ad ambire al trono sarà un re (il governatore Attilio Fontana, fresco di proscioglimento nell’ambito del cosiddetto "caso camici") o una regina (Letizia Moratti, vice presidente e assessore al Welfare che in pochi mesi ha realizzato una nuova riforma sanitaria e attuato una poderosa strategia vaccinale). Quando il frastuono dei comizi e le grida delle folle nelle piazze lombarde si sarà placato potremo vedere le cose con maggior limpidezza.