(foto Ansa)

Ecco dove la grande stella di Draghi brilla meno del previsto

Claudio Cerasa

Il coraggio contro Putin che c’è e le delusioni in Italia che non mancano: giustizia, concorrenza e partite industriali. Perché è meglio essere coraggiosi che tirare a campare

Il Financial Times di ieri ha dedicato un lusinghiero articolo al presidente del Consiglio, Mario Draghi, ricostruendo un passaggio dei colloqui tra il premier italiano e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, durante il quale è stato Draghi a prendere l’iniziativa nei confronti della Banca centrale russa, triangolando personalmente con la numero uno del Tesoro americana, Janet Yellen, per accelerare il percorso che ha portato ad avviare le sanzioni per congelare le riserve in valuta estera, passaggio senza il quale non sarebbe stato possibile attutire il colpo di altre sanzioni.

  

A livello internazionale, anche durante le settimane di guerra, la stella di Mario Draghi ha continuato a brillare e anche se l’Italia è parsa essere per molto tempo fuori dal giro ristretto dei tavoli dove si prendono le decisioni che contano (quando Joe Biden chiama  l’Europa, i primi tre telefoni che squillano sono quelli di Emmanuel Macron,  di Olaf Scholz e  di Boris Johnson) non si può dire che le posizioni scelte da Draghi rispetto al conflitto non siano state coraggiose. Ha chiesto all’Ue di accelerare il percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea. Ha definito “eroica” la resistenza di Mariupol, Kharkiv e Odessa contro la “ferocia del presidente Putin”. Ha portato un Parlamento dominato da forze politiche allevate da utili idioti del putinismo ad approvare con voto di fiducia l’aumento delle spese militari. E ha ricordato che sulle sanzioni relative alle importazioni di gas, tema su cui l’Italia è sensibile importando il 40 per cento del suo fabbisogno dalla Russia, l’Italia “non porrà veti”. Eppure, da qualche settimana, dopo la delusione quirinalizia, la stella di Draghi per la prima volta dall’inizio del suo mandato è apparsa brillare con meno intensità.

  

In parte, si tratta di un processo naturale, legato al cedimento fisiologico di un pezzo di maggioranza di governo che non vede altro modo per presentarsi al traguardo delle prossime elezioni (comunali e politiche) se non quello di rivendicare le bandierine della distinzione (il governo ha fatto questo, noi volevamo altro). In parte, però, accanto al processo naturale, ne esiste un altro che coincide con alcune delusioni che prescindono dal doppio cigno nero che ha messo in difficoltà l’Italia come tutti i paesi europei. Delusioni come quelle che si possono registrare sulla legge della concorrenza, che arriva svuotata al voto delle Camere (nella bozza del ddl ci sono misure importanti, servizi pubblici locali, trasporto pubblico, taxi; ma sono tutte deleghe e tenendo conto dei tempi della legislatura si farà fatica ad attuarle entro la fine dell’anno come da contratto con l’Ue).

  

Delusioni come quelle che si possono registrare sulla riforma della giustizia (riforma ambiziosa ma che non risolve il problema di fondo di una magistratura che ha troppo potere, che non si sa autocontrollare e che vede qualsiasi valutazione esterna come lesa maestà). Delusioni come quelle che si possono registrare sulla riforma fiscale (riforma che sconta la scelta fatta dal governo di scommettere su una delega, e non su un decreto, e sulla quale Lega e Forza Italia hanno scelto di fare ostruzionismo). Delusioni, infine, come quelle che si possono registrare sul piano industriale ed economico. Dove Tim è in vendita ma dove il governo ha fatto di tutto per disincentivare i compratori (Kkr). Dove Mps è in vendita ma dove il governo ha fatto di tutto per dare ai possibili compratori la possibilità di fuggire (Unicredit). Dove l’ex Alitalia è in vendita (sia lodato il cielo) ma dove il Mef sta facendo di tutto per non accelerare il processo di valutazione delle offerte.

 

Con un Parlamento dominato da soggetti che per molto tempo si sono sentiti a casa più a Mosca che a Bruxelles, l’Italia senza la stella di Draghi oggi sarebbe nei guai fino al collo. Ma per evitare che la stella perda parte della sua luce la strada di Draghi resta sempre quella: decidere, anche a costo di rompere, piuttosto che mediare, accontentandosi cioè di tirare a campare.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.