(foto Ansa)

Enrico Letta spiega al Foglio perché chiudere i rubinetti del gas russo

Claudio Cerasa

Non si può rispondere all’orrore di Bucha con un embarghino sul carbone. "Rinunciare al gas e al petrolio russo significa accelerare la fine della guerra", ci dice il segretario del Pd

Noccioline. Guy Verhofstadt, appassionato europarlamentare belga che da anni ha messo nel mirino della sua formidabile arte retorica le follie dei populisti schiavi del nazionalismo e le timidezze degli europeisti specializzati in pavidità, ieri, pochi minuti dopo l’annuncio fatto dal presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, relativo alla scelta di vietare l’importazione del carbone dalla Russia, ha offerto alle agenzie una dichiarazione tanto dura quanto drammaticamente condivisibile: “Vietare il carbone come propone la Commissione europea è una cosa da nulla se lo si confronta con il gas e il petrolio e sicuramente non fermerà i crimini di guerra di Putin”. Verhofstadt ha poi messo in rete un tweet con un’infografica da cui emerge che dal 24 febbraio a oggi, giorno dell’invasione dell’Ucraina, l’Unione europea ha pagato 19,3 miliardi di euro per i combustibili fossili alla Russia: 9 miliardi per il petrolio, 9,6 per il gas e solo 712 milioni per il carbone. Dunque, dice Verhofstadt, reagire alle immagini raccapriccianti di Bucha vietando l’importazione di carbone è come armarsi di noccioline contro un nemico accusato dagli ucraini di aver già utilizzato alcune armi chimiche.

 

Verhofstadt ieri mattina ha diffuso anche una meritoria lettera firmata da 207 parlamentari europei (italiani: zeru tituli) con cui ha chiesto all’Unione di “affrettarsi verso una politica di dipendenza zero dal Cremlino, slegando l’Europa dalla fornitura di energia russa, applicando un embargo vincolante e bloccando il finanziamento indiretto delle bombe”. Difficile dare torto a Verhofstadt. Così come è difficile dare torto al ministero dell’Energia dell’Ucraina che due giorni fa, con il suo viceministro, ha chiesto all’Europa di fare tutto ciò che è nei suoi poteri per ridurre drasticamente i pagamenti che permettono alla Russia di finanziare la sua guerra in Ucraina. E lo ha fatto proponendo persino una strada alternativa a quella dell’embargo: designare un’autorità per negoziare con Gazprom un nuovo prezzo per le esportazioni di gas russe facendo leva sul fatto che la dipendenza che ha la Russia con il mercato europeo non è seconda alla dipendenza che ha l’Europa con il gas russo (Gazprom esporta  tra i 140 e i 190 miliardi di metri cubi di gas all’anno, l’80 per cento del suo gas passa dai gasdotti che arrivano in Europa, la capienza dei gasdotti che arrivano in Cina non è in grado di assorbire l’afflusso di gas che oggi arriva in Europa e le armi di ricatto che ha l’Europa con la Russia sono infinitamente superiori rispetto a quelle che ha la Russia).

Sul tema dell’embargo del gas russo, il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, pur avendo già fatto capire che il nostro paese non porrebbe un veto in caso di decisione dell’Ue di bloccare il gas russo, da giorni si trincera dietro una formula molto vaga, l’Italia agisce in pieno coordinamento con l’Unione europea, formula astuta per non esporsi aspettando che magari un giorno sia la Germania a fare un passo difficile verso l’embargo. Una formula meno diplomatica, per così dire, è invece quella utilizzata in questi giorni dal segretario del Pd Enrico Letta, favorevole a un blocco totale delle importazioni energetiche dalla Russia. Abbiamo chiesto ieri al segretario del Pd di spiegare meglio la sua posizione: “Rinunciare al gas e al petrolio russo credo sia una priorità assoluta. E andare in questa direzione significa accelerare tutto. Significa accelerare la fine della guerra. Significa accelerare i processi di pace. Significa togliere risorse alla Russia di Putin e alle sue follie. Significa, poi, accelerare anche altri processi, come quello della costruzione di una sostenibilità energetica europea, e significa poi, in virtù di un nuovo e cruciale equilibrio, accelerare alcune misure necessarie da mettere in campo per evitare la terza recessione”. Non è detto che basti, ma contro i genocidi non c’è altra scelta possibile: meno noccioline, più embarghi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.