Enrico Letta (foto Ansa)

Attorno al referendum

Il Pd dubbioso si avvia verso un “no” sui quesiti sulla giustizia

Marianna Rizzini

Tra i dem per ogni entusista c'è più d'uno che accampa dubbi. "Non siamo ostili, solo che su queste materie l’impatto dei quesiti referendari è sopravvalutato, visto che stiamo parlando di riforme in corso di approvazione", dice Bazoli

I referendum sono lì, sullo sfondo, verso la primavera-estate. Molto prima, lunedì, ci sarà la direzione Pd in cui il tema verrà affrontato, per cominciare a rispondere alla domanda: come voterete?  “Mancano tre mesi”, è la frase che dal partito si fa strada all’esterno per sottolineare il fatto che la questione sarebbe meglio non diventasse per così dire prioritaria. Tuttavia la situazione è potenzialmente (e mediaticamente) scivolosa, se non si vuole apparire troppo sbilanciati dal lato referendario senza tuttavia diventare simili a chi sulla giustizia affrontata con parole d’ordine manettare ha costruito successi elettorali, a partire dai Cinque Stelle delle origini. Ma non è molto condivisa la posizione della deputata Pd Enza Bruno Bossio, che, intervistata da questo giornale, aveva espresso dubbi sulla posizione attendista del partito: “A giudicare dall’attività dei miei colleghi in commissione Giustizia, dove si continuano a sottoscrivere emendamenti con l’ex ministro Bonafede”, aveva detto Bruno Bossio, “se ci sottraessimo dalla campagna referendaria non sarebbe più il segnale di una timidezza, bensì di complicità o subalternità ai peggiori istinti giustizialisti”.

E ieri mattina, nel partito, c’era chi, scherzando, si concedeva una battuta: “Piuttosto che seguire il consiglio della collega, forse è meglio adottare una linea Davigo”. In mezzo c’è la prudenza di chi sa che una parte dei quesiti potrebbero essere “assorbiti” dalla riforma del Csm, e sugli altri riflette, posizionandosi più verso il no che verso il sì. La responsabile Giustizia del Pd, senatrice Anna Rossomando, intervistata dal Mattino, mette in guardia sui rischi di intervento sulla legge Severino, dicendo di “rispettare i quesiti referendari e di considerarli “uno strumento prezioso di partecipazione dei cittadini”, ma sottolineando il fatto che il Pd è “un partito” che discuterà e farà le sue valutazioni in merito. E nel merito Rossomando, come molti ai vertici, pensa che buona parte dei quesiti possa essere inglobata nella materia oggetto di discussione parlamentare riguardo alla riforma del Csm. Nel partito si insiste anche sul già fatto, della serie: con la riforma del processo civile e penale abbiamo già dato risposta alla questione della durata ragionevole del processo. Stessa cosa per le distorsioni mediatiche legate al processo penale. E non soltanto Rossomando, nel Pd, teme che un’abrogazione via referendum della legge Severino in materia di incandidabilità possa portare con sé il rischio che anche candidati per reati di mafia con sentenza irrevocabile corrano in campagna elettorale e siano eletti. Allo stesso tempo al Pd è arrivata anche la perplessità di alcuni sindaci: amministrando una città l’avviso di garanzia può essere dietro l’angolo anche senza dolo. E si fa notare che una proposta di legge Pd che rivede le sospensioni degli amministratori locali in assenza di sentenza definitiva è stata già incardinata (anche se la cosa non riguarda reati che possano creare allarme sociale).

Interpellato in proposito, il capogruppo pd in commissione Giustizia Alfredo Bazoli, si dice convinto, spiega al Foglio, che sia possibile procedere rapidamente all’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, e che quindi “due o tre quesiti possano essere assorbiti”. Ma sia chiaro, dice Bazoli: “Il Pd non è ostile, solo che su queste materie l’impatto dei quesiti referendari è sopravvalutato, visto che stiamo parlando di riforme in corso di approvazione o approvate”. Quanto a legge Severino e misure cautelari, Bazoli invita “a fare chiarezza: il quesito che mira a ridurre la custodia cautelare in carcere riguarda in realtà tutte le custodie cautelari. Ma mira a eliminare, tra i requisiti per imporre la misura, il pericolo di reiterazione del reato. Se si presentasse un rischio di reiterazione, il giudice non potrebbe più applicare una qualunque misura cautelare”. Sono però questioni molto sentite, visto l’abuso che si è fatto delle misure cautelari. Ma nel Pd si sottolinea come il confine tra evitamento dell’eccesso e rischio di non poter intervenire in casi di pericolosità sociale sia molto sottile. Lo strumento referendario sui temi in esame pare insomma troppo tranchant, è questa l’idea al momento maggioritaria al Nazareno, motivo per cui il “no” ai quesiti non riassorbili in Parlamento si fa più che probabile. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.