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piccolo girotondo

"Referendum, perché no?”. Parlano i dem Ceccanti, Raciti e Bruno Bossio

Luca Roberto

Il Pd per adesso ha una posizione attendista. Ma cosa farà con i requisiti referendari il segretario Letta? Primi segnali dai parlamentari democratici

La Corte costituzionale dà l’ok a cinque quesiti sulla giustizia. La Lega esulta, la Meloni annuncia che ne sosterrà alcuni, Gelmini chiede comitati unitari per il sì. Il M5s è contrario. E il Pd? Rischia di osservare la partita dagli spalti. Ma siamo sicuri sia una strategia condivisa nei gruppi parlamentari? “Che la giustizia abbia una serie di nodi irrisolti non lo scopriamo certo adesso. Siamo chiamati a una responsabilità anche dai referendum, ma lo eravamo già prima e lo saremo anche dopo”, dice al Foglio il deputato dem Stefano Ceccanti. “Bisogna valutare caso per caso. Alcuni interventi potremmo farli per legge. Altrimenti non vedo perché non dovremmo votare sì al referendum”. Ancor più espliciti di lui i colleghi Fausto Raciti e Enza Bruno Bossio, che a Letta chiedono: “Se non ora, quando?”.

Nell’immediato post sentenza, il Pd s’è rifugiato in un rinvio al lavoro del Parlamento. Lo ha premesso anche Ceccanti. Che al Foglio spiega il perché. “Il quesito sul sistema elettorale del Csm interviene solo sulle candidature. Non aggiunge e non toglie nulla all’iniziativa del governo che ha portato a un equilibrio spostato su un sistema maggioritario che è il vero antidoto alle correnti. Anche sulla carcerazione preventiva dubito che il quesito risolva qualcosa: sono aperto a varie soluzioni purché però si parta dal riconoscimento di un’anomalia intollerabile, la presunzione costituzionale di non colpevolezza è contraddetta dagli obiettivi eccessi di carcerazione preventiva”. Anche sulla legge Severino, secondo Ceccanti, il quesito referendario “può aiutare su un punto reale, già oggetto di un’iniziativa parlamentare del Pd. Però un’abrogazione totale sarebbe sbagliata”. Andiamo sulla separazione delle carriere. Perché sembra essere ancora un tabù per la sinistra? “Pur nella loro differenza, la distinzione delle funzioni e la separazione delle carriere hanno una comune ispirazione liberale. Il tabù quindi non può esistere”, risponde il costituzionalista. “Diciamo che la distinzione può essere un denominatore comune. Nel 1999 è stata fatta una riforma costituzionale che, se sviluppata coerentemente, porta ad entrambe perché parla all’articolo 111 di ‘giudice terzo e imparziale’. A partire da quello promuovemmo nel 2019 un appello con Libertà Eguale. Già nel testo del 1948 si fanno differenze: si stabilì una differenza fondamentale tra il giudice che è soggetto solo alla legge e il pm per il quale si rinvia alla legge. Nella mozione Martina, che alcuni di noi hanno votato nel Congresso in cui prevalse Zingaretti c’era la separazione, che, peraltro, tranne la conseguenza finale della divisione in due del Csm, è perseguibile per intero con legge ordinaria”.

E quindi? “Potremmo farlo per legge. Altrimenti, non vedo perché non dovremmo votare sì al referendum. Questa scelta avrebbe comunque un suo valore di posizionamento, indipendentemente dal raggiungimento del quorum, perché sarebbe un orientamento di lungo periodo”, aggiunge allora Ceccanti. In questo molto vicino alle tesi di alcuni dei più convinti sostenitori del referendum tra i dem. Tra questi c’è il deputato Fausto Raciti. Secondo cui “se il Parlamento non si è dimostrato risolutivo finora, perché dovrebbe esserlo miracolosamente adesso? Non ci può tirare indietro. E’ un’ occasione per chiudere definitivamente con la seconda Repubblica, un fallimento nel rapporto assolutamente squilibrato tra giustizia e politica”, spiega al Foglio. L’onorevole Enza Bruno Bossio è sulla stessa lunghezza d’onda. “E a giudicare dall’attività dei miei colleghi in commissione Giustizia, dove si continuano a sottoscrivere emendamenti con l’ex ministro Bonafede, direi che se ci sottraessimo dalla campagna referendaria non sarebbe più il segnale di una timidezza, bensì di complicità o subalternità ai peggiori istinti giustizialisti”, confessa un po’ sconsolata al nostro giornale. Chiediamo a Ceccanti se davvero il rapporto con i 5s non  rischi di ostacolare una presa di posizione forte da parte del segretario Letta. “Ma nella concreta esperienza parlamentare, al di là delle proclamazioni di principio, il M5s durante il governo Draghi non ha messo veti insormontabili”. Più sensibile, semmai, è la presa di coscienza che mostrandosi attendisti, si rischi di favorire Salvini. “La Lega appare oscillante, basti pensare a cosa sostiene sulle carceri. Il figliol prodigo non è ancora convinto di tornare a casa. Sarebbe però strano che nel frattempo se ne allontanasse il figlio fedele”. Forse è un messaggio per il suo segretario. Che a ora preferisce prendere tempo. E che però già a partire dalla direzione nazionale di lunedì dovrà indicare una linea.

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