Varco referendario

In vista dei referendum, il Pd si interroga sulla propria vicinanza al cittadino

Marianna Rizzini

I temi, le urgenze, l'azione di stimolo. Parlano Enza Bruno Bossio, Tommaso Cerno, Dario Stefàno e Andrea Ferrazzi

L’attesa per la decisione della Corte, da ieri riunita per esaminare i quesiti referendari sulla giustizia (in serata è arrivato il no al quesito sull'omicidio del consenziente), porta i partiti a interrogarsi sul passato (c’è stato un “ritardo” nel recepire temi importanti per l’opinione pubblica?) ma anche sul futuro (l’eventuale gap è colmabile in Parlamento?). Il Pd, in particolare, si trova nella posizione non semplice di chi, dicendosi vicino ai cittadini, al tempo stesso si trova apparentemente un passo indietro rispetto all’avversario politico Matteo Salvini, che i referendum, con i Radicali, li ha voluti.

   
E dal Pd però si alzano voci che dicono: non sprechiamo l’occasione. La deputata Enza Bruno Bossio non ha dubbi, e anzi ha rivendicato via Twitter di aver firmato per i referendum all’inizio della campagna: “Mi ricordo quel giorno davanti al banchetto delle firme, in largo Argentina, e da quel momento ho cercato di portare avanti la bandiera referendaria anche sul mio territorio, in Calabria. Questa battaglia la sento mia, nostra”.

 

Eppure il partito è apparso timido. “Forse non erano maturi i tempi”, dice Bruno Bossio, “e però basta riascoltare le recenti parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del ministro Marta Cartabia per lasciare che nel Pd finalmente emerga o riemerga un’impostazione garantista che è parte del nostro patrimonio. Sono contenuti nostri, non di Salvini – anche sul fine vita. E’ e deve essere una nostra battaglia di libertà”.  

  
Tommaso Cerno, senatore e giornalista eletto con il Pd nel 2018, sente di appartenere “alla terra di Loris Fortuna” quanto a vocazione referendaria. Di fronte a “una situazione parlamentare e politica complessa”, vede con favore “la possibilità per il cittadino di esprimersi su temi dirimenti” e pensa sia giusto “che il Parlamento si comporti di conseguenza”. “Insomma”, dice, “siamo a quasi quattro anni di distanza dalle precedenti elezioni e a circa un anno dalle prossime: il quadro è cambiato e il Parlamento dovrebbe ricevere come segno propiziatorio l’indicazione all’azione. Anche perché quando si dice ‘giustizia’ non si dovrebbe pensare al caso di Silvio Berlusconi ma alla vita dei cittadini e delle imprese”. Dunque, dice Cerno, “dovremmo cogliere con umiltà ogni segnale, e il Pd dovrebbe sempre comportarsi come un partito popolare che considera la democrazia diretta come qualcosa di positivo. Dico a Enrico Letta, che è uomo intelligente: prendi l’eventuale apertura della Corte come segnale che ci invita a fare nostra l’indicazione dei cittadini”.

  

Né è questione di lasciare campo libero agli avversari, dice il senatore pd Dario Stefàno: “Non si tratta certamente di intestarsi alcun merito. Non credo, infatti, che la Giustizia sia materia dove si concorre per piantare la propria bandierina. Semmai, siamo di fronte a una scelta dettata dal rispetto per la decisione che la Corte è chiamata ad esprimere”. Ma, dice Stefàno, “nel Pd, sui temi della giustizia, in particolare, come partito, continuiamo a marcare una difficoltà di protagonismo. È un dato oggettivo. Non cogliamo, a mio avviso, e fino in fondo, la richiesta di riforma profonda che viene dalla società. A questo punto, se la Corte si pronuncerà a favore dell’ammissibilità dei quesiti sarà da ritenere come un ulteriore stimolo al Parlamento a far bene e, finalmente, forse, avremo l’occasione per aprirci a un dibattito libero e franco sullo stato della giustizia in Italia, partendo proprio dagli interessi dei cittadini, siano essi vittime o presunti colpevoli, prima che dagli interessi di chi la giustizia la amministra”.

  

Anche il senatore pd Andrea Ferrazzi, “a titolo personale” e rievocando “le parole del presidente Sergio Mattarella”, pensa che “il tema sia urgente e vada affrontato, tanto più che la riforma della Giustizia è una delle riforme strutturali necessarie nel quadro del Pnrr”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.