
LaPresse
Una provocazione?
Salvare la democrazia facendo votare i bambini di sei anni non è una follia
Per negare ai più piccoli il diritto di voto, bisognerebbe dimostrare che non lo meritano nemmeno gli adulti. La proposta seria del politologo David Runciman
Se al Summit for Democracy partecipano gli stati con l’età media più alta del mondo, come ha notato Federico Fubini sul Corriere, c’è chi azzarda soluzioni drastiche per invertire la tendenza: salvare la democrazia facendo votare i bambini dai sei anni in su. La proposta suona assurda ma va valutata con serietà perché proviene da David Runciman, professore di Scienze politiche a Cambridge, fellow della British Academy e autore dell’acclamato Così finisce la democrazia (in Italia per Bollati Boringhieri), che la argomenta in un longform sul Guardian.
Specificato che non si tratta di riempire il parlamento di seienni ma solo di abbassare al limite minimo dell’obbligo scolastico l’età dell’elettorato attivo, l’idea di Runciman non difetta di solide motivazioni. Anzitutto s’incardina sullo storico principio che l’istruzione sia un fattore determinante per il diritto al voto; ad esempio, nel 1912 Giolitti differenziò l’età minima per il suffragio universale maschile fra alfabetizzati, a ventun anni, e analfabeti, a trenta. Runciman analizza poi i numeri: pur attestandosi la mediana dell’età nel Regno Unito sui quarant’anni e mezzo, il voto a partire dai diciott’anni (sedici in Scozia) garantisce agli over sessanta una rappresentanza spropositata rispetto alla fascia di popolazione che effettivamente costituiscono. Infine avanza una considerazione politica. La persistente maggioranza di elettori anziani porta i candidati a favorirli, propugnando programmi privi di progetti a lungo termine e scoraggiando i giovani dalla partecipazione elettorale.
Se un’obiezione può essergli mossa, è che sembra sottintendere il presupposto che essere molto giovani sia un valore di per sé, e che quindi la partecipazione di una fascia di elettori che gioca con bambole e dinosauri (o che, se più matura, si schiaccia i brufoli) debba portare una ventata fresca e dolce alla democrazia. Innegabilmente la storia dell’evoluzione dell’elettorato è segnata da proposte altrettanto sconcertanti: far votare le donne o la working class era ritenuto impensabile prima che avvenisse, tuttavia non ha arrecato gli sconquassi preconizzati dai profeti di sventura. Per dire, in Italia le elezioni con suffragio maschile del 1919 avevano dato una maggioranza moderata con una solida opposizione di sinistra e una minoranza destrorsa; idem quelle del 1946, dopo vent’anni di dittatura e con l’introduzione del suffragio femminile. C’è caso anche che un domani, alle prime elezioni col diritto di voto dai sei anni in su, i risultati siano noiosamente simili a quelli di oggi.
Runciman anticipa altre possibili obiezioni e le smonta egregiamente. I bambini non sono competenti in materia di politica? Non lo sono neanche gli adulti, quanto meno non tutti e sicuramente non su tutto, eppure hanno diritto di voto indistintamente. I loro cervelli non sono abbastanza formati, incapaci di pensiero astratto? Allora bisognerebbe ritirare il diritto di voto agli anziani che perdono colpi. Si verificherebbe il caos? È da escludere, poiché – tanto più al ritmo in cui stanno invecchiando le nazioni democratiche – bambini e ragazzini costituirebbero comunque una minoranza rispetto agli adulti.
C’è da ultimo il rischio che i bambini votino secondo le indicazioni dei genitori, della maestra o di influencer più o meno deficienti. Runciman ribatte che non prevede un ritorno al voto patriarcale, in cui chi ha più figli esprime più preferenze, in quanto i bambini raramente fanno ciò che dicono i genitori, così come le mogli non hanno fatto ciò che dicevano i mariti, dentro e fuori della cabina elettorale. Inoltre anche i maggiorenni votano sotto l’influenza delle mode, dello spirito di gruppo, di figure guida. Sicuri di non aver mai mandato in parlamento influencer più o meno deficienti, dei seienni malcresciuti? Questo è il vero problema della proposta di Runciman, il velenoso paradosso per cui ci appare inaccettabile: per negare ai bambini il diritto di voto, dovremmo dimostrare che non lo meritano nemmeno gli adulti.