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Make democracy great again! Idee da Copenaghen

Valentina Cefalù

La crisi del modello democratico e l'avanzata dei populismi. Un summit in Danimarca ha riunito alcuni importanti leader politici internazionali per parlare delle sfide da affrontare 

Un editoriale del Washington Post apparso nei giorni scorsi è intitolato "La democrazia è morta nell'oscurità" e in effetti già David Runciman, uno dei maggiori politologi del Regno Unito, nel suo ultimo provocatorio saggio "How Democracy Ends” esamina le recenti trasformazioni del panorama politico dell'Occidente. Il libro indaga i nuovi segnali di una democrazia che rischia il collasso e stimola una serie di consigli su cosa potrebbe accadere dopo, mantenendo uno sguardo ottimista verso il futuro. La sfida oggi è domandarci cosa non ha funzionato nel modello democratico così come è stato immaginato finora, che ha fallito nel rispondere alle attese dei citoyen, i cittadini nel gergo francese, non riuscendo a riflettere l'idea del coinvolgimento del cittadino nella politica. Un tema di cui hanno discusso a Copenaghen, per la prima edizione del Democracy Summit, alcuni leader politici tra cui Joe Biden, Tony Blair, Stephen Harper (ex primo Ministro del Canada), Felipe Calderon (ex presidente del Messico) e Nick Clegg (ex primo ministro Uk), riuniti da Anders Fogh Rasmussen, former Secretary General della Nato, e dalla sua associazione Alliance of Democracies Foundation. 

     

I regimi democratici devono far fronte a nuove minacce al loro sistema, hanno concordato i rappresentanti politici presenti all'incontro. Dalla politica migratoria, alle crisi finanziarie, servono trasparenza e accountability per rinnovare la fiducia degli elettori nelle istituzioni. Lo dimostrano i dati, secondo il Democracy Perception Index 2018, la ricerca condotta dalla società Dalia Research, in collaborazione con la Rasmussen Global, il sentimento di disillusione politica è maggiore nei paesi a base democratica (64%) che in quelli con un regime non democratico (41%). Oltre la metà dei cittadini dei paesi democratici nel mondo ritengono che la propria voce "raramente" se non "mai" conta in politica, il 54% pensa che la propria opinione non è in grado di influenzare le decisioni della classe politica, e ben il 64% è convinto che il proprio governo non agisca nell'interesse dei cittadini.

  

"Per molto tempo abbiamo considerato le libertà e i principi democratici come valori indiscutibili", ha affermato Rasmussen, "oggi la verità è che la democrazia è in declino in tutto il mondo. L'ironia è che i cittadini europei non hanno mai vissuto un'era di così tante libertà e opportunità eppure pensano che la democrazia non serva i loro interessi, sono disconnessi dalle istituzioni democratiche. Il Korean War Memorial a Washington ci ricorda che "la libertà non è mai gratis". Gli Stati Uniti hanno per lungo tempo rappresentato la patria delle libertà, politiche, economiche, sociali. Un mondo senza la guida degli Stati Uniti sarebbe un mondo meno democratico e per questo dobbiamo difendere e rilanciare il dialogo transatlantico." Opinione condivisa da Joe Biden, Tony Blair e Stephen Harper. In particolare, Biden, senza fare direttamente nomi, ha avuto parole molto dure nei confronti dell'amministrazione Trump, affermando come "demagoghi e ciarlatani tentano di suscitare le paure degli elettori proprio come fecero negli anni '30, mentre la questione dell'immigrazione affligge entrambe le sponde dell'Atlantico". Tony Blair si è invece soffermato sul fatto che la democrazia è sotto attacco da un duplice fronte, interno ed esterno. "Dobbiamo difendere la democrazia, invocarla e mostrare come solo il sistema democratico può funzionare. Serve un dialogo basato sui fatti. Bisogna rendere le scelte degli elettori effettive, altrimenti questi non si sentono rappresentati. Non sentono che la propria voce vale" – ha concluso Blair, sottolineando quanto sia importante oggi, ancora più che in passato, ricostruire dei ponti tra le due sponde dell'Atlantico.

   

I regimi autoritari, hanno osservato gli ospiti del summit, tutelano i leader attraverso un sistema che garantisce loro il potere senza che sia mai messo in discussione. La democrazia invece non è un sistema statico, ma dinamico. Si può anche riconoscere che possa talvolta non funzionare, ma ha la flessibilità di rinnovarsi e trovare la giusta direzione. Non ci sono risposte prestabilite, dipende da noi, le istituzioni devono recuperare la capacità di ascolto verso i cittadini. Questo sentimento non solo di apatia verso la politica, ma più generale di sfiducia dei cittadini verso i propri leader viene oggi enfatizzato dai social network e dal potere disruptive di Internet, come evidenziato da Richard Allan (VP Global Policy Solutions di Facebook). "È innegabile l'impatto che le moderne tecnologie della società dell'informazione hanno avuto sulla società e sulla democrazia", ha affermato durante il suo intervento Allan, “compiendo una rivoluzione che non è paragonabile a quanto avvenuto in passato con la Televisione. I device consentono una forte disintermediazione tra gli elettori (consumers) e permettono di connettere direttamente l'individuo ai politici. Questo comporta che sono necessarie nuove policy per regolare i servizi Internet (ad esempio l’uso dei social per le campagne elettorali), ma la rete può essere uno strumento utile di informazione sia per i policy maker sia per garantire l'accountability, rinnovando la fiducia dei cittadini verso le istituzioni democratiche".

    

Come scritto da Tocqueville: “Molti incendi sono divampati nei regimi democratici ma anche molti sono stati spenti". Non esistono garanzie di successo, ma di fronte all'avanzata del populismo e dei regimi autoritari dobbiamo condividere i valori liberali alla base delle società democratiche e tenere a mente la lezione del passato, come ci ricorda Churchill, storia sconosciuta alle giovani generazioni che "non ricordano cosa si prova nel vivere in Stati non democratici" ha affermato con orgoglio Toomas Hendrik Ilves, ex presidente dell'Estonia. "Le democrazie occidentali hanno il dovere di assumersi la responsabilità di assistere e difendere le libertà democratiche", ha concluso Rasmussen, "ecco perché siamo qui oggi, per rendere la democrazia di nuovo grande".