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Gli altri guai del Rdc spiegati a Berlusconi (furbetti a parte)

Luciano Capone

Che sia necessario un reddito minimo per contrastare la povertà, in particolare quella assoluta che si incrocia con l’esclusione sociale, è una posizione condivisa da pressoché tutte le forze politiche. Il problema è cambiare cosa non funziona

Anche al Cav. piace il Reddito di cittadinanza. “Per quanto riguarda il Reddito di cittadinanza – ha dichiarato Silvio Berlusconi in una recente intervista al Tempo – gli importi che sono finiti a dei furbi che non ne avevano diritto sono davvero poca cosa rispetto alle situazioni di povertà che il reddito è andato finalmente a contrastare”. L’uscita, che ha preso di sorpresa molti osservatori, è stata accolta come una mossa opportunistica per tentare di allargare nel M5s i consensi ancora insufficienti per arrivare al Quirinale. Quali che siano le vere motivazioni delle dichiarazioni di Berlusconi, sicuramente includono un elemento realistico: per quanto siano mediaticamente rilevanti le frodi riguardano circa l’1 per cento dei casi, una quota comunque inaccettabile ma tutto sommato marginale rispetto all’impatto che il RdC ha avuto nel contrasto alla povertà. Se però è utile riportare alle giuste dimensioni il fenomeno dei “furbetti”, sarebbe scorretto presentare questo aspetto come unica critica al funzionamento del RdC. 

    
I guai del Reddito di cittadinanza spiegati a Berlusconi

Che sia necessario un reddito minimo per contrastare la povertà, in particolare quella assoluta che si incrocia con l’esclusione sociale, è una posizione condivisa da pressoché tutte le forze politiche. Il problema è cambiare cosa non funziona. E su questo aspetto, probabilmente prigioniero dello scontro dialettico tra difensori e detrattori, il governo ha rinunciato a qualsiasi riforma seria del Rdc. Eppure in questi due anni sono stati prodotti molti studi e suggerimenti, abbastanza condivisi da chi conosce l’argomento, su come migliorarlo. Sia nella parte di contrasto alla povertà, per raggiungere chi realmente ne ha bisogno (attualmente circa 1 percettore su 2 non è povero e circa 1 povero su 2 non è un percettore di Rdc) sia nella parte che riguarda le politiche attive e l’avvicinamento al mondo del lavoro, che si è dimostrata disastrosa.   

  
I difensori della misura mostrano spesso alcuni dati dell’Anpal, secondo cui circa un terzo dei beneficiari occupabili ha avuto un contratto di lavoro nel periodo successivo alla presentazione della domanda di RdC. Naturalmente si tratta di un dato che non ha alcun significato, che non consente di capire quanti di questi rapporti di lavoro sarebbero dovuti al lavoro dei navigator e dei Centri per l’impiego e quanti sarebbero stati avviati comunque, anche in assenza di RdC. Basti considerare che dei beneficiari occupabili, poco più di 1 milione, solo 327 mila (e quindi il 30 per cento) sono stati intercettati dai centri per l’impiego stipulando effettivamente un patto per il lavoro. E per la stragrande maggioranza di questi si è trattato comunque di un semplice passaggio burocratico, senza alcuna formazione o politica attiva.

L'effetto nullo del Reddito di cittadinanza

Una stima dell’impatto sull’occupazione è presente nel rapporto della Caritas sul Rdc sulla base dei dati della Toscana. Sono stati presi in considerazione due gruppi di disoccupati, uno percettore di RdC e uno no come gruppo di controllo, ed è poi stato analizzato il numero di giornate lavorative prima e dopo il programma del RdC. I dati mostrano che all’inizio, nel 2019, c’è stato un effetto negativo del RdC; in seguito l’effetto diventa nullo; infine, a partire da febbraio 2020, si inizia a registrare un effetto positivo che però non si allontana molto dallo zero: “I beneficiari di RdC lavorano solo 0,6 giorni al mese in più rispetto a quanto lavoravano mediamente prima di beneficiare della misura”.

      
È vero quindi che i “furbetti” sono un falso problema, nel senso che sono un fenomeno marginale e che comunque va contrastato intensificando i controlli. Ma proprio per questo motivo bisognerebbe concentrare l’attenzione sui veri problemi, quelli connaturati al disegno del Rdc, le distorsioni perfettamente legali che disincentivano il lavoro. Anche perché l’aumento del tasso di occupazione e di partecipazione, soprattutto femminile e nel Mezzogiorno, è uno dei problemi storici del paese e degli obiettivi del Pnrr. E il reddito di cittadinanza, da questo punto di vista, è parte più del problema che della soluzione.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali