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il retrofront silenzioso

Sul Rdc Draghi smentisce se stesso, e la Finanziaria va in tilt

Luciano Capone e Valerio Valentini

Prima l'incentivo (giusto) per evitare l'effetto perverso del Reddito, benedetto dal premier. Poi la retromarcia. Ora Italia viva mira a reintrodurre la revisione della misura in legge di Bilancio. E il governo dovrà (di nuovo) contraddirsi

Se è vero che tutti i leader politici sembrano propensi a stringere un patto di non belligeranza sulla legge di Bilancio, collaborando costruttivamente col presidente del Consiglio, ci sarà almeno un punto su cui questa concordia trasversale sembra destinata a venire meno: la revisione del Reddito di cittadinanza. E il paradosso sta nel fatto che questa sfida parlamentare al premier sarà ispirata proprio dalle parole di Mario Draghi. Era stato proprio lui, nella conferenza stampa di fine ottobre di presentazione della finanziaria, ad annunciare un’importante riforma della misura cara al M5s. “Abbiamo introdotto un sistema di controlli che assicuri il raggiungimento di un obiettivo: e cioè che il Rdc non sia un ostacolo all’accettazione di proposte di lavoro” disse il presidente del Consiglio, affiancato dal ministro dell’Economia Daniele Franco e dal ministro del Lavoro Andrea Orlando. “In precedenza, infatti, laddove avesse accettato l’offerta di lavoro, il percettore del Reddito avrebbe perso tutto il suo sussidio, con un’imposta negativa del 100 per cento.

D’ora in poi invece questa imposta sarà graduata in modo tale che il percettore abbia incentivo ad accettare un’offerta di lavoro”. Parole nette e logica cristallina. Che infatti trovavano riscontro nella bozza della legge di bilancio approvata in Cdm, che prevedeva una riduzione della “tassa” sul reddito da lavoro per i percettori di Rdc di 20 punti percentuali: non più un’aliquota marginale del 100 per cento, quindi, ma dell’80, così da evitare un effetto perverso fotografato anche dal ministero del Lavoro. Il comitato scientifico nominato da Orlando, e coordinato dalla prof. Chiara Saraceno, nella sua relazione era stato perentorio: “Oggi, a un percettore del Rdc lavorare non conviene”. E per questo i consulenti del ministero del Lavoro avevano proposto una riduzione superiore, non all’80 ma al 60 per cento. 

Reddito di cittadinanza, nella legge di Bilancio scompare l'incentivo al lavoro

Se non fosse però che, come fatto notare dal Foglio, nella versione definitiva della legge di Bilancio quella misura è scomparsa. In silenzio, senza alcuna spiegazione pubblica. Motivo per cui Luigi Marattin, presidente renziano della commissione Finanze della Camera, annuncia che il gruppo di Italia viva al Senato riproporrà quello stesso comma stralciato sotto forma di emendamento. Ricevendo sostegno anche da Forza Italia, pare, dove si fa del resto notare che difficilmente il governo potrà opporre un parere contrario su un provvedimento che lo stesso premier descriveva come opportuno. “Noi non ne abbiamo saputo nulla”, si sono giustificati i ministri azzurri interpellati dai loro parlamentari. “La partita l’hanno gestita i ministeri dell’Economia e del Lavoro”. E se dal dicastero di Orlando si fa fatica a ottenere un riscontro, a Via XX Settembre offrono invece una spiegazione. “Ragioni di natura contabile”, precisano, spiegando così il motivo di una strambata che smentisce le parole pubbliche di Draghi. Il fatto è, dicono al Mef, che nella versione iniziale della manovra era previsto un décalage del Rdc a partire dalla fine del sesto mese.

Poi, per ragioni di equità, si è deciso che la decurtazione dell’assegno, pari a cinque euro al mese, sarebbe scattata dopo il rifiuto da parte del percettore del Rdc della prima offerta di lavoro. In questo modo, tuttavia, la stima del possibile “risparmio” per le casse pubbliche, già di per sé complicata, è diventata impossibile: come stabilire il numero di percettori a cui potrebbe arrivare un’offerta di lavoro nel prossimo anno? E in quanti la rifiuterebbero? Non è possibile quantificare un risparmio. Di qui, dunque, il diniego da parte dei tecnici della Ragioneria dello stato di finanziare, come inizialmente previsto, la riduzione dell’aliquota sul reddito da lavoro per i percettori del Rdc con la minore spesa derivante dal décalage. Così, in un sol colpo, saltano due incentivi a trovare lavoro: prima la riduzione progressiva dell’assegno per chi non lavora, che poi si trascina la riduzione delle tasse per chi lavora. Tutto resta com’è. Un circolo vizioso che cancella uno stimolo alla alla riattivazione e all’autoattivazione dei beneficiari di Reddito di cittadinanza che, tra l’altro, non ha neppure un costo esorbitante: 400 milioni di euro, a fronte di uno stanziamento aggiuntivo di 1 miliardo che lascia le cose come stanno. Tra l’altro se l’incentivo, come plausibile, dovesse funzionare facendo incrementare le ore lavorate dei percettori, per ogni 2 euro in più spesi di sgravio lo stato ne risparmierà 8 di minore erogazione del sussidio. D’altronde perché il provvedimento è positivo l’ha spiegato Draghi, ciò che il premier non ha spiegato è perché il governo l’ha cancellato.