Mario Draghi e Andrea Orlando (LaPresse)

La legge di Bilancio

Draghi e Orlando varano una revisione del Rdc “modello Biafra”

Luciano Capone e Valerio Valentini

Salta l’incentivo al lavoro dalla riforma del Reddito di cittadinanza. La manovra smentisce i tecnici del ministro del Lavoro

Dell’inutilità di nominare comitati tecnici per risolvere problemi politici. Ma anche: della retorica di chi predica le virtù necessarie al riformismo e poi rinuncia ai suoi buoni propositi. La revisione monca del Reddito di cittadinanza sembra riassumere bene questi due vizi della politica italiana, anche al tempo di Mario Draghi. Lo si capisce leggendo il testo definitivo della legge di Bilancio, quello licenziato due giorni fa dalla cabina di regia e da cui, senza clamore né pubblicità, è stato cancellato il comma che prevedeva uno sgravio del 20 per cento sul reddito da lavoro per i percettori del Rdc. Una mossa che, in un colpo solo, confuta le tesi espresse sia dal premier sia dal ministro del Lavoro Andrea Orlando.

 

Si trattava della riduzione dell’aliquota marginale sui beneficiari di Rdc, ora praticamente del 100 per cento, per incentivare la ricerca di un’occupazione. Una modifica marginale di un sistema perverso che rende conveniente lavorare solo se in nero, altrimenti per ogni euro guadagnato lavorando se ne perde uno di sussidio. La Commissione scientifica sul Rdc nominata da Orlando e presieduta dalla professoressa Chiara Saraceno, tre giorni fa questo paradosso lo ha sintetizzato così: “Oggi, a un percettore del Rdc lavorare non conviene”. Meglio il divano.

 

L’insensatezza di questo meccanismo era uno dei difetti congeniti del Rdc che doveva apparire evidente anche a Palazzo Chigi, visto che si era deciso di intervenirvi nella bozza della legge di Bilancio, quella di fine ottobre: un comma prevedeva il taglio di 20 punti di questa “tassa” sui poveri, facendo scendere l’aliquota marginale a un comunque elevato 80 per cento. La commissione Saraceno s’era spinta oltre, proponendo un taglio al 60 per cento. Del resto questa è la logica in vigore negli altri paesi per i rispettivi programmi di reddito minimo. In Regno Unito l’aliquota marginale sul reddito da lavoro per i percettori dello Universal credit è del 63 per cento, e il governo Johnson ne ha annunciato la riduzione di altri 8 punti. Stesso discorso per la Prime d’Activité in Francia. Ma anziché a Londra e Parigi il governo avrà guardato al Biafra. È quello il caso citato da Draghi, durante la cabina di regia di mercoledì, per spiegare ai presenti che i programmi di spesa pubblica vanno fatti funzionare in modo efficiente. “Il fallimento  degli aiuti degli anni 70 al Biafra, finiti in corruzione, rese impossibile parlare di aiuti allo sviluppo nei decenni a seguire”. Anche i sussidi più nobili, se disegnati male, diventano tossici. 

 

Dal Mef fanno intendere che il décalage è stato eliminato per mancanza di coperture. Una giustificazione tecnicamente vera, che però è l’ammissione di una responsabilità politica: si trattava di trovare qualche centinaia di milioni di euro, in una legge di Bilancio da 30 miliardi, che aggiunge 1 miliardo di spesa al Rdc (per tacere dell’estensione del Superbonus). Parlare di scarsità di risorse in questo contesto non è una scusa. Anche perché in questo caso servivano a cambiare il sistema di incentivi del Rdc per premiare il lavoro. È peraltro inutile tagliare di 5 euro al mese il sussidio a chi rifiuta un posto di lavoro, come prevede la nuova norma, se poi non gli si lascia guadagnare un euro in più se quel lavoro lo accetta.

 

Singolare è pure il ruolo del ministro Orlando. Prima il suo Comitato scientifico è stato costretto a presentare le proposte per migliorare il Rdc a manovra già licenziata. E già allora, alcuni dei quattordici consulenti avevano detto: “Bah”. Ma ora, dopo che nella loro tardiva relazione suggeriscono una misura già presente in legge di Bilancio, il governo la cancella. Che non si dica che il loro lavoro è stato ininfluente: è servito a fare il contrario.

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