Lessico e sostanza

La “nausea di base” di Calenda quando si evoca il grande centro

Marianna Rizzini

"È la cosa meno riformista che esiste, è un fritto misto che si usa per fare l’ago della bilancia: l’Italia non ha bisogno di questo”, dice il leader di Azione. Il successo alle amministrative di Roma e le prospettive, passando per Draghi

È mattina presto (mattina di ieri) e ad “Agorà”, su Rai 3, il leader di Azione Carlo Calenda sbotta: “La parola ‘grande centro’ mi crea una nausea di base, è la cosa meno riformista che esiste, è un fritto misto che si usa per fare l’ago della bilancia: l’Italia non ha bisogno di questo”. E insomma sono ormai settimane, da quando Calenda, a Roma, al primo turno, è andato talmente bene da far risaltare ancora di più l’altrui flop, che da più parti si parla di “manovre al centro”, peraltro ostacolate da chi combatte, in questi giorni, l’idea di una legge elettorale proporzionale.

Calenda e l'insofferenza per il grande centro, "un fritto misto"

E succede che quando si allude alle formazioni che dovrebbero in teoria convergere, la tendenza sia quella di respingere l’etichetta: lo ha fatto, per esempio, tempo fa, Marco Bentivogli, già sindacalista e cofondatore di Base Italia, facendo notare che non di centrismo ma di riformismo si dovrebbe discutere. E lo fa Calenda ora, con uno scatto che pare partire proprio dallo stesso emisfero semantico dello stomaco ieri tirato in ballo, come se la testa – che voleva pensare la novità –  si ribellasse allo stantìo concetto centripeto e ordinasse alle gambe di fuggire il più lontano possibile. Fatto sta che, ogni volta che si compulsano le percentuali del successo romano di Calenda, c’è sempre qualcuno che all’eventuale rassemblement di centro allude. “Noi vogliamo far crescere Azione”, ha detto invece Calenda, sempre ad Agorà, declinando ogni ipotesi di intesa cordiale con Italia Viva: “Con loro c’è un problema fondamentale, in Sicilia si alleano con Gianfranco Miccichè volendo fare i riformisti”.

Il leader di Azione chiude a Mastella

E però non sono passati molti giorni da quando Clemente Mastella, che del centro passato è in qualche modo emblema, dopo essere stato rieletto sindaco di Benevento, ha lanciato un appello proprio a Renzi e a Calenda, per la composizione di un centro futuro. Anche no, ha risposto Calenda, che nella sua second life post-voto è ora costretto a occupare il seggio che aveva deciso di non occupare in Comune, almeno momentaneamente, viste le polemiche interne ed esterne sull’eventuale smottamento in seno alla sua lista civica, e proprio attorno alla componente che faceva capo ad Italia Viva. E il destino dei riformisti che non vogliono dirsi centristi gira ora attorno alla questione della legge elettorale, per non dire del crocevia a monte di tutto: l’elezione del presidente della Repubblica. E si ragiona sottotraccia su come favorire, intanto, nell’incertezza del futuro, un’unione dei riformisti che non vogliono dirsi centristi e su come questa possa intersecarsi con l’anelito al rafforzamento ideale di un polo europeista e liberale (ma, se si guarda all’Europa, che comprenda anche popolari e socialdemocratici, solo che poi entra in gioco il campo largo di Enrico Letta). Il tutto mentre a destra (dalle parti di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni) si fa capire che non si pensa neanche per sogno ad ammorbidire sul proporzionale, a differenza che nell’area più moderata di Forza Italia.

 

Salvini lo ha detto, qualche giorno fa, riferendosi con disprezzo ai “grandi centri, ai centroni, ai centrini e ai centretti”: “No al proporzionale. Significherebbe palude e ritorno non al pentapartito, ma a chissà che cosa. Significa che chiunque vinca, nessuno vince. Unica certezza è che governerebbe a vita il Pd”. Intanto ieri Calenda affrontava anche il tema Colle, commentando le parole del ministro Giancarlo Giorgetti su Mario Draghi che “può guidare il convoglio anche dal Colle”: “I sistemi istituzionali non cambiano a seconda di chi ricopre una carica”, diceva Calenda. “Sono presidenzialista, ma questo non è il sistema italiano. Se Draghi deve continuare a guidare il paese, come io penso, allora occorre che resti presidente del Consiglio, per scelta netta e trasparente delle forze politiche”. 
 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.