dopo il g20 nella capitale

Grazie a Draghi è l'ora di Roma padrona

Claudio Cerasa

La Capitale ha offerto la scenografia giusta al G20 e offrirà la sceneggiatura per capire il futuro dell’Italia. La romanità di Draghi, il Pnrr e una certezza: le rivoluzioni si possono fare solo se ci conosciamo tutti

È stata la scenografia vincente del G20 italiano ed è stata la vera ragione per cui l’incontro tra i grandi del mondo, almeno tra quelli che c’erano, verrà ricordato a lungo, a prescindere dai contenuti del vertice. Il G20 di Roma verrà ricordato per questo, per la scenografia, le passeggiate in centro, i selfie di fronte al Pantheon, le monetine alla Fontana di Trevi, e verrà ricordato invece meno per il resto, per l’accordo sulla global tax raggiunto già molti mesi fa, per l’accordo sul clima che non c’è stato, per la svolta sul multilateralismo che è stata solo evocata, e se non ci fosse stata Roma, Roma padrona, è possibile che il G20 italiano sarebbe stato, nonostante Mario Draghi, anonimo come tutti gli altri.

 

E invece c’è stata Roma, c’è stata la città che al momento giusto ha accolto i grandi del mondo nel primo incontro multilaterale svolto in presenza dopo la pandemia, e il G20 dello scorso fine settimana più che suggellare la leadership di Draghi, che si suggella da sé, ha permesso di suggellare la centralità di Roma. Una centralità che in qualche modo c’entra sia con la fase storica che sta vivendo l’Italia sia con la stagione della leadership draghiana. C’è lo zampino di Roma nel successo del G20, ma c’è lo zampino di Roma nel futuro dell’Italia per almeno due ragioni diverse, entrambe scollegate da quello che sarà il destino del nuovo sindaco della capitale, Roberto Gualtieri. Roma, nei prossimi sei anni, sarà la città del Recovery, del Pnrr, non solo perché i soldi che arriveranno dall’Europa passeranno per i ministeri romani, troppo facile, ma anche perché la quota del Pnrr che verrà veicolata dalle imprese con sede a Roma sarà più di un terzo del totale delle risorse europee: 24 miliardi che passeranno dalle società legate alle reti e ai satelliti, 24 miliardi passeranno dalle società legate all’energia, altrettanti passeranno dalle Ferrovie, 9 miliardi andranno alla digitalizzazione della Pubblica amministrazione, quattro andranno direttamente a Roma per il sostegno alla cultura e al turismo.

 

C’è Roma nel futuro dell’Italia, ma c’è Roma anche nel futuro della politica italiana per una ragione molto semplice spesso sottovalutata dai commentatori: la romanità di Draghi. Per la leadership di Draghi, la romanità, la sua conoscenza minuziosa di tutti gli ingranaggi della politica, della burocrazia, dei ministeri, delle centrali del potere della Capitale, è diventata un valore non inferiore rispetto alla competenza. E la capacità innata di trasformare i complessi ingranaggi dello stato non in ostacoli insuperabili – come lo sono stati per molto tempo per i primi ministri non romani come Bettino Craxi (milanese), Silvio Berlusconi (milanese), Romano Prodi (bolognese), Matteo Renzi (fiorentino) – ma in formidabili alleati da utilizzare per trasformare la burocrazia in una rete di protezione dello stato si sta rivelando mese dopo mese come un punto di forza in più della leadership draghiana.

 

Draghi conosce tutti, parla con tutti, dialoga con tutti, ascolta tutti, salvo poi decidere da solo, e nei suoi primi otto mesi di governo ha ribaltato una vecchia e formidabile massima di Ennio Flaiano. Flaiano sosteneva che in Italia le rivoluzioni non si possono fare perché ci conosciamo tutti, Draghi sta provando a dimostrare che le rivoluzioni (e il Pnrr è una grande rivoluzione) si possono fare solo quando ci si conosce tutti. E la centralità di Roma, la trasformazione della capitale d’Italia in qualcosa di più simile all’immagine di una Roma padrona piuttosto che di una Roma ladrona, è iscritta anche nella carta d’identità di altri leader del futuro. E’ romano Gianni Letta, punto di riferimento fortissimo di Draghi nel centrodestra. Così come è romano Paolo Gentiloni, alternativa fortissima a Mario Draghi per il Quirinale. Così come è romana Giorgia Meloni, unica leadership destinata ad avere un futuro nel centrodestra. Così come è romano Carlo Calenda, unico tra i candidati a sindaco sconfitti alle amministrative destinato ad avere un futuro. Roma è stata la carta vincente del G20 italiano. E chissà se dopo aver offerto una magnifica scenografia ai giganti del mondo non offra una buona sceneggiatura per capire qualcosa di più sul futuro dell’Italia. Le rivoluzioni, si sa, si possono fare solo se ci si conosce tutti. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.