Gli anni delle Mani pulite in un libro di revisionismo (e pentitismo) giornalistico-manettaro

Salvatore Merlo

Da Davigo a Mieli, da Borrelli a Boccassini: l'ultima opera di Goffredo Buccini ripercorre gli anni di Tangentopoli. Nei suoi punti più illuminanti, non mancano i ripensamenti di un cronista di quel “pool di giornalisti “che alla procura di Milano affiancò il “pool dei magistrati”

Quando la cacciò dal pool antimafia di Milano, nel 1991, Francesco Saverio Borrelli spiegò la scelta con questo motivo dichiarato: “L’individualismo, la carica incontenibile di soggettivismo, di passione, la non disponibilità al lavoro di gruppo… La mancanza di freddezza e di controllo nervoso… La scarsa volontà di porre in comune risultati, riflessioni e intenzioni”. Questo ritratto di Ilda Boccassini fatto dal procuratore Borrelli, ritratto in cui non si faticherà a riconoscere ancora oggi l’ex magistrato impegnata a raccontarsi in televisione da Enrico Mentana pure ieri sera come protagonista principale della storia d’Italia degli ultimi trent’anni (fino al cattivo gusto di strumentalizzare il nome di Giovanni Falcone per farsi pubblicità), ebbene questo ritratto così calzante e attuale è contenuto in un bellissimo libro di Goffredo Buccini, uscito da poco per Laterza: Il tempo delle mani pulite (1992-1994).

 

Si tratta della biografia d’una procura, quella di Milano, fotografata negli anni determinanti in cui crollava la Prima Repubblica ma si ponevano anche le premesse per la delegittimazione cui sarebbe incorsa la magistratura italiana negli anni immediatamente successivi, fino a oggi, tra eccessi di protagonismo, inchieste farlocche, uso politico dell’azione giudiziaria, carrierismo e quant’altro. Un libro in cui, dunque, ricorrono oltre a quello di Ilda Boccassini soprattutto i nomi dei protagonisti di allora, da Francesco Greco a Piercamillo Davigo, fino a Gherardo Colombo: l’unico pm  del pool  che si è elegantemente sfilato dalla magistratura prima che emergesse il marciume. Lui infatti usciva da galantuomo, mentre Davigo e Greco quella stessa magistratura la scalavano (Di Pietro aveva già fatto in tempo a fare due volte il ministro).

 

Ma quello di Buccini, oggi inviato del Corriere della Sera, è forse soprattutto un interessante diario a ritroso di quel periodo. E’ la storia ri-raccontata, riletta (o meglio rivissuta) da parte di uno dei giovani cronisti che in quegli anni di furore cavalcarono professionalmente il drago giudiziario entrando a far parte, a Milano, del “pool di giornalisti “che affiancava il “pool dei magistrati” e che dunque offriva quotidianamente scalpi di democristiani e socialisti a un’opinione pubblica assetata di sangue. A trent’anni di distanza Buccini (che con Gianluca Di Feo diede sul Corriere della Sera la notizia del primo avviso di garanzia a Berlusconi nel 1994) fa dunque un prezioso, documentato, vivace – e onesto – esercizio di revisionismo sugli eccessi giudiziari e sul ruolo militante dell’informazione in quegli anni. Persino sul suo giornale, il Corriere diretto da Paolo Mieli.

 

Anche se l’autore non lo ammetterebbe nemmeno a se stesso. “Sarebbe ipocrita negare che, a parte il mio collega Michele Brambilla, un cattolico per bene vicino a Comunione e liberazione, noialtri abbiamo quasi tutti, chi più e chi meno, un percorso di formazione che viene da sinistra”, scrive infatti a un certo punto Buccini con il passo appunto del diario. E poi: “In qualche modo l’inchiesta contiene almeno in potenza la conferma del male che abbiamo sempre pensato di certi socialisti craxiani traditori della nostra causa, certi andreottiani mafiosi, certi imprenditori tentacolari e, in generale, di un potere costituito che sempre si oppone alle ‘magnifiche sorti e progressive’ di cui abbiamo deciso di essere alfieri sin dei licei e delle università”. E ancora: “Bisogna ammettere che dall’arresto di Chiesa in avanti abbiamo perso qualcosa di essenziale della nostra funzione, guardando troppo spesso in una sola direzione e non consentendo a tanti lettori moderati non militanti di formarsi un’opinione davvero indipendente”. Ecco, questo grado di consapevolezza e di onestà ce l’hanno avuto in pochi finora. Tra i magistrati, nessuno. 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.