15 luglio 1964, Adriano Celentano e Claudia Mori sul divano di via Zuretti 47 a Milano, leggono Il Giorno

“Milano è di buonumore, ma se ascolti la provincia capisci Salvini”

Maurizio Crippa

Due chiacchiere con Michele Brambilla, direttore editoriale del Giorno. Il polso sul territorio di un giornale popolare

“Se dovessi cercare una definizione direi che c’è qualcosa di immateriale, una vitalità che si alimenta da sé, che è parte della città. E che coincide con l’essere milanesi, e col sentirsi orgogliosi di esserlo, anche se sei nato chissà dove. Qui arrivi, e vuoi restare. Chiunque sia arrivato qui, dai tempi dell’immigrazione, è diventato milanese. I cartelli ‘non si affitta ai meridionali’ (evocati da un caso di cronaca di qualche giorno fa, ndr) erano a Torino, non a Milano. E poi adesso, da molti anni, da dopo l’Expo, quella che secondo qualcuno doveva essere un flop, Milano è di buonumore. E’ cambiata tantissimo. Io, che adesso passo più di metà settimana a Bologna o Firenze, ogni volta che arrivo la trovo sempre più bella”.

 

Michele Brambilla passa gran parte della settimana a Bologna e a Firenze perché da qualche mese è il direttore responsabile del Quotidiano Nazionale, il dorso nazionale che raggruppa il Resto del Carlino, la Nazione e il Giorno, testate di cui è invece direttore editoriale (a firmare come direttore responsabile lo storico giornale di Milano è Sandro Neri). Brambilla è milanese nell’anima e di lunga data, si è fatto le ossa a inizio carriera alla cronaca cittadina del Corriere della Sera, ma ha anche un doppio passaporto, quello monzese. Una doppia cittadinanza che gli consente di percepire al volo le differenze tra la metropoli “di buonumore” dove – coi dovuti caveat – non si percepisce né la gente incattivita, né la Grande Paura né i tamburi della rivolta contro Roma o contro l’Europa, e la provincia, per quanto provincia ben messa e piuttosto ricca: “Se vai in provincia, in Brianza, nel comasco, nella bergamasca, la percezione è diversa. I due temi di cui la gente parla al bar e in casa, e che la stampa locale raccoglie e amplifica sono l’insicurezza da delinquenza e da immigrazione e l’impoverimento, le tasse. E sono esattamente i due fattori per cui la Lega di Salvini, altro che mandata a casa, qui al nord continuerà a prendere voti. Ma non a Milano: qui c’è un Dna completamente diverso, che è parte della sua storia: è la città che sta nel mezzo, tra tutte le vie di comunicazione, include, accetta, sviluppa”.

 

E allora, la differenza con la provincia, o con il resto d’Italia non particolarmente ottimista, dove sta? “La differenza nasce, a mio avviso, da un problema negato. Da un errore, anzi io lo chiamo il negazionismo della sinistra. Di tutta la sinistra. Perché invece di dire ‘il problema c’è, i furti in casa ci sono, lo spaccio sotto casa c’è’, ha sempre negato l’evidenza. Ha sempre accusato ‘la percezione’ distorta o addirittura i cittadini di votare male. E questo è insopportabile, così molta gente vota Salvini per questo. Guarda Pontida. Anzi, guarda i giovani: se conosci i ragazzi, ti accorgi che percepiscono questa negazione, e ti dicono: allora voto Salvini”. Anche a Milano? “E’ un po’ diverso. Si dice che qui vince il Pd perché è il partito del ceto medio urbano, ricco. E’ vero. Ma prima ci sono stati sindaci come Albertini e Letizia Moratti, e i milanesi votavano Berlusconi: qui la Lega, e nemmeno i Cinque stelle, non hanno mai attecchito. Le periferie hanno votato Lega per una protesta più economica che non di sicurezza”.

 

Cammini con Michele Brambilla nei corridoi della bella redazione del Giorno, ora è in corso Buenos Aires, tappezzata delle prime pagine storiche, coloratissime (ed erano gli anni 50 e 60) con le foto a tutta pagina delle edizioni della domenica e una magnifica grafica, da sognarsela oggi, e la scelta di argomenti popolari, non paludati, e capisci perché il Giorno ha cambiato la storia del giornalismo italiano. E soprattutto perché ancora oggi riesce a essere un giornale popolare: cioè letto dal popolo. Che trovi nei bar, soprattutto in periferia, e nei paesi. Oltre al dorso Milano, il Giorno ha altre dieci dorsi locali che coprono tutta la regione. A Milano è secondo solo al Corriere, in Brianza è il quotidiano più venduto. Insomma un giornale che, in una dimensione informativa affollata e cambiata come quella della metropoli (Carlino e Nazione, come tutti i giornali territoriali, vivono dinamiche diverse) riesce ancora ad avere il polso e il contatto con il territorio. Ciò che spesso manca ai grandi giornali, e alla televisione. “Per tradizione, il Giorno non ha un pubblico politicamente schierato – dice Brambilla – Le nostre rubriche delle lettere (un must delle edizioni locali) raccontano una situazione divisa in due. Quello che invece è interessante è che è la provincia a esprimere le preoccupazioni, le paure. Ma bisogna scendere al dettaglio della cronaca quotidiana per coglierlo. E questo un giornale come il nostro, e tutte le edizioni locali che abbiamo, riesce ancora a farlo con una rete che l’online, il web non riesce a sostituire”. E aiuta a capire qual è l’umore vero del nord.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"