Ansa/Daniel Dal Zennaro 

Perché il libro di Boccassini è un manifesto sulle ossessioni dei pm anti Cav.

Ermes Antonucci

Dentro “La stanza numero 30”, oltre Falcone c’è di più. Occhio a un numero: 137, le volte in cui viene menzionato Berlusconi

Cosa c'è dentro "La stanza numero 30", il libro di Ilda Boccassini

 

Ilda Boccassini, magistrato simbolo della procura di Milano, protagonista di importanti inchieste contro la criminalità organizzata, ma soprattutto contro Silvio Berlusconi (in questo caso mai giunte a sentenze di condanna definitiva), ha scritto un libro di memorie. Si intitola “La stanza numero 30” (edito da Feltrinelli), dal numero della stanza al quarto piano del palazzo di giustizia milanese occupata da “Ilda la rossa” nel corso della sua lunga carriera giudiziaria, terminata nel 2019 con il pensionamento. 

Un libro autobiografico, ricco di ricordi, aneddoti e confessioni inedite, come quella sull’amore provato dal magistrato nei confronti di Giovanni Falcone, prima che questi venisse ucciso dalla mafia. È proprio su questo capitolo più intimo della vita di Boccassini che i principali quotidiani hanno concentrato la loro attenzione gossippara, facendo apparire l’autobiografia del magistrato come una sorta di diario adolescenziale. Il libro, invece, è ben altro. È un affresco, forse involontario, delle convinzioni che per vent’anni hanno accompagnato Ilda Boccassini nelle sue iniziative giudiziarie contro Silvio Berlusconi. Una lunga vicenda processuale descritta dall’ex pm come una “battaglia”, in cui i magistrati si ritrovano “sotto attacco”, “soli in trincea” di fronte ad avversari “disposti a utilizzare qualsiasi arma pur di annientarci”, e in cui ovviamente le iniziative dei difensori degli imputati diventano mere “manovre dilatorie”.

 

Il nome di Berlusconi compare 137 volte

 

Più che un diario adolescenziale, sembra di sfogliare il diario di un soldato. Un diario in cui il nome del “nemico” (Berlusconi) appare ben 137 volte, e in cui, nonostante le armi siano ormai state deposte, si fa ancora fatica ad accettare le sconfitte ottenute sul campo di battaglia. Come l’assoluzione ottenuta da Berlusconi nel processo sul lodo Mondadori: “Si determinò – scrive Boccassini – la bizzarra circostanza per cui Berlusconi era diventato il convitato di pietra nel processo, a fronte di un quadro accusatorio che lo vedeva protagonista della guerra di Segrate, l’unico soggetto che aveva interesse a ottenere con ogni mezzo il controllo della Mondadori, il creatore dei fondi neri all’estero usati per comprare sentenze”. La stessa lettura viene riproposta dall’ex pm di Milano anche sull’assoluzione ottenuta dal leader di Forza Italia nel processo Sme: “L’imprenditore che aveva scalato due imperi economici (Sme e Mondadori) grazie all’attività criminale dei Previti, dei Pacifico, degli Acampora e alla corruzione dei magistrati Squillante e Metta era riuscito a sfuggire alla giustizia sfruttando il potere connaturato alla carica istituzionale ricoperta per guidare il Paese. Mi auguro che su questa verità storica riflettano a fondo le generazioni future”, scrive Boccassini, prendendosela pure col presidente del collegio giudicante, che aveva “lasciato trasparire in alcune interviste la sua propensione verso la parte politica dell’imputato”. 

Si arriva al processo Ruby. “Ho provato rabbia per quel mondo popolato da giovani donne pronte a soddisfare i desideri del ‘re’ per ambizione, denaro e un po’ di visibilità”, scrive Boccassini, utilizzando argomentazioni più moralistiche che giuridiche. “Si trattava di donne anche diplomate e laureate, senza nessuna scusante economica o sociale. Credo che queste ragazze siano l’angosciante prodotto di trent’anni di cultura dozzinale, in cui l’ambizione massima è un’ospitata in mediocri trasmissioni tv”. 
Così, invece, Boccassini descrive i primi momenti vissuti dopo la condanna in primo grado di Berlusconi a sette anni di reclusione per prostituzione minorile e concussione: “Mi accasciai sul divano esausta. (…) Telefonai subito ai miei figli, dopodiché spensi il cellulare. Non volevo essere disturbata da nessuno, nemmeno per le congratulazioni: volevo solo vivere quelle ore con le mie amiche, immersa in uno scenario paradisiaco”. Il paradiso, per il “soldato Boccassini”, durò poco: la sentenza fu ribaltata in appello e infine la Cassazione confermò l’assoluzione per Berlusconi.

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