Gherardo Colombo (foto LaPresse)

Una lezione di diritto da Gherardo Colombo per il vaffanculotto Bonafede

Salvatore Merlo

Intervista al pm di Mani Pulite: “Altro che prescrizione, è già lunghissima. Il legislatore dovrebbe smetterla di trasformare ogni bagatella in reato”

Roma. Entra in vigore domani, mercoledì 1 gennaio, la legge Bonafede che annulla la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. “Una norma che è l’effetto dello strabismo legislativo del nostro paese”, dice Gherardo Colombo, settantatré anni, il giudice istruttore del processo alla P2, delle indagini su Michele Sindona e sull’omicidio Ambrosoli, il pubblico ministero di Mani pulite e del lodo Mondadori. Cerca una definizione, un aggettivo, il dottor Colombo, per individuare un clima forse persino morale: fondamentalismo, intransigenza, fideismo, massimalismo… “quel non volere, o non sapere, modellare le risposte in relazione alle situazioni di fatto”, dice. “Il legislatore dovrebbe individuare il risultato che vuole ottenere, per poi trovare lo strumento adatto a raggiungerlo, tenendo conto della situazione dalla quale si parte”. E invece che succede? “E invece tante volte sembra che si voglia piantare un chiodo con un bulldozer o con un martelletto di gommapiuma”, insomma sempre con lo strumento sbagliato. “Stiamo parlando dell’abolizione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Vorrei che una cosa fosse chiara: se la misura rispondesse esclusivamente a un desiderio di retribuire sempre e comunque una trasgressione con la pena, il discorso sarebbe logico. Io non lo condivido, ma sarebbe logico: ‘Hai peccato – la retribuzione sta in quegli ambiti – per te non c’è oblio, non c’è possibilità di recupero, non c’è futuro se non dopo (meglio, nemmeno dopo) che paghi il tuo peccato’. Ecco. Questo avrebbe un senso, anche se io non lo condivido perché ritengo sia ingiusto non considerare l’influenza del passaggio del tempo sulle esigenze di punizione. Di sicuro però non si può motivare l’abolizione della prescrizione con la volontà di rendere più rapido (rectius, meno lento) il processo penale. Teniamo separati gli argomenti, da una parte la prescrizione, dall’altra la ragionevole durata del processo. Iniziamo da quest’ultimo tema. Vogliamo, giustamente e secondo Costituzione, un processo rapido? Lo vogliamo efficiente? Pensiamo a strumenti che lo rendano effettivamente rapido ed efficiente. Depenalizziamo. 

 

  

E insomma, dice Gherardo Colombo, la legge Bonafede è il prodotto di una politica strabica, quasi a riprova del fatto che l’eccesso è segno del contrario di ciò in cui si eccede. La prescrizione non c’entra niente con la ragionevole durata dei processi, anzi. E il legislatore (leggi il ministro Bonafede), se davvero volesse rendere più efficiente la giustizia dovrebbe fare altro: depenalizzare. “Liberiamo i tribunali penali, diventati il luogo dove precipitano tutti i conflitti e le tensioni anche insignificanti di questo paese”, spiega infatti l’ex magistrato. “Se vogliamo che il processo penale sia rapido, occorre che ci siano poche cose da processare. Quelle importanti. Il diritto penale va riportato a quello che dovrebbe essere: l’extrema ratio”.

 

E non lo è più l’extrema ratio? “Quando feci il concorso per entrare in magistratura, inizio anni ’70, il diritto penale era condensato quasi tutto nel Codice penale: poco più di 700 articoli. E interveniva soltanto di fronte a trasgressioni rilevanti (secondo la cultura dell’epoca), che mettevano seriamente in dubbio il rapporto di fiducia che tiene insieme la comunità. Il resto si regolava in altra via. Il punto è questo: non tutto può essere reato. Mentre oggi in Italia la tendenza è quella di far diventare reato qualsiasi violazione. E così a quelle vecchie, tra le quali pure ne esistono di insignificanti (se uno cancella la vidimazione di un biglietto dell’autobus, perché non è multato per via amministrativa ma finisce con una denuncia penale per falso che intasa la macchina della giustizia? Si mette in piedi un apparato complicatissimo, per una questione che a Milano oggi vale due euro…) se ne aggiungono sempre più di nuove, con l’ovvio risultato di intasare la macchina della giustizia. Oltre a depenalizzare – e quindi a trovare soluzioni in ambito civile o amministrativo – si ricorra a strumenti che evitino il protrarsi delle indagini o la celebrazione del dibattimento. Si incentivi la messa alla prova, il patteggiamento, il giudizio abbreviato. Si pensi a introdurre pratiche di giustizia riparativa, che esistono da anni in molti altri paesi. Misure che non vengono prese, a mio parere, sempre per quella idea di fondo che vede la pena come retribuzione. E poi si dia all’amministrazione della giustizia ciò che serve per funzionare. Se manca il personale amministrativo si può pensare di rendere rapido il processo attraverso l’abolizione della prescrizione? Altrettanto se a mancare sono i giudici e i pubblici ministeri?”.

 

 

Per esempio ci sono 251 magistrati, vincitori di concorso, che dal 24 luglio 2019 attendono di poter iniziare, come da legge, il tirocinio di un anno e mezzo. Il ministero della Giustizia non firma il decreto di nomina. Inceppato chissà come e perché. “Si pensi a come riempire gli organici o a renderli adeguati al flusso di denunce, piuttosto”, dice Gherardo Colombo. “Si diano agli uffici giudiziari strumenti adeguati (come in effetti si fa per quanto riguarda il personale). Soprattutto, ci si impegni a fare una vera e seria prevenzione, sia a livello normativo che a livello educativo. La durata delle indagini e dei processi, a mio parere, si risolve così. E veniamo alla prescrizione”.

 

Ecco, appunto: la prescrizione. Qualcuno inventandosi un Cesare Beccaria immaginario, gli ha fatto dire questo: “La prescrizione piace alle anime belle e ai grandi criminali”. E’ così? Piace ad anime belle e a grandi criminali? “Credo ci sia un motivo se prima il legislatore del 1889 e poi quello del 1930 nello scrivere il Codice penale abbiano pensato di limitare la potestà dello stato di verificare se una persona abbia commesso un reato, agganciando il termine entro il quale poter esercitare questa potestà alla gravità del reato. Il motivo risiede nell’idea che il passare del tempo abbia una notevole interferenza sulle esigenze punitive. La nostra cultura tradizionale è piena di motti su come il tempo lenisca le ferite. Più il tempo passa, più l’offesa recata all’ordinamento e alla vittima sfuma, da attualità si trasforma in storia. Se si individuasse oggi chi le ha rubato la bicicletta tredici anni fa avrebbe senso sottoporlo a processo e infliggergli una pena?”. Direi proprio di no. “E a una persona che aveva diciotto anni e nel frattempo, poniamo, ha studiato, ha trovato un lavoro, ha – come si dice – messo la testa a posto?”. Col tempo anche le persone cambiano. “E infatti non ritengo sia giusto che una persona possa essere sottoposta al processo a vita, ancor di più quando proprio dall’essere sotto processo dipende una serie corposa di conseguenze negative. In questo modo si penalizza il percorso di recupero complessivo dei rapporti di fiducia all’interno della comunità, e si corre il rischio di evocare conflitti che si erano in qualche modo superati. Sono queste, secondo me, le ragioni che giustificano la prescrizione”.

 

“Ci sarebbe poi da domandarsi un’altra cosa: che rilievo ha oggi la prescrizione in Italia? E la risposta è che riguarda, salvo casi eccezionali che pure si verificano, soltanto reati di lieve entità. Spesso quelli per i quali non si dovrebbe nemmeno tenere un processo. Peraltro, per certi aspetti paradossalmente la prescrizione può giovare alla rapidità: il suo verificarsi può essere base per l’instaurarsi di un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato che l’ha causata; togliamo la prescrizione, togliamo lo stimolo a evitare il disciplinare, la giustizia diventa ancora più lenta”.

 

E insomma, verrebbe da dire, non solo la norma Bonafede è dannosa perché allunga i processi. Ma è persino inutile. “Proviamo a vedere quali sono i reati che facilmente si prescrivono nel nostro paese”, riprende Gherardo Colombo. “Come si sa, i reati punibili con l’ergastolo non si prescrivono mai (per loro la questione non si pone). Per gli altri, il termine di prescrizione è commisurato al massimo della pena previsto per quel reato. Per esempio un omicidio senza aggravanti, per il quale il massimo della pena è di 24 anni, la prescrizione è di 24 anni dalla data della sua commissione, più un quarto in caso di interruzione: nel complesso trenta anni. Se il sistema giudiziario non riesce a individuare il possibile responsabile di un omicidio e ad applicare la pena entro trent’anni dal fatto, bisognerà renderlo più efficiente. Termini pure molto consistenti valgono, per fare qualche esempio, per il sequestro di persona a scopo di estorsione (qui addirittura 37 anni e mezzo), per la rapina aggravata (25 anni), la violenza sessuale (15 anni), il furto pluriaggravato (12 anni e sei mesi). Insomma, per i reati che destano clamore sociale le pene sono elevate e il termine di prescrizione è lungo al punto che è raro che gli stessi si prescrivano”. 

 

E insomma allora chi può sperare davvero nella prescrizione? “Direi nemmeno più gli autori di reati di corruzione, perché le pene massime, a seconda dei tipi di corruzione, variano dagli 8 ai 20 anni. La prescrizione interveniva spesso per gli omicidi colposi, ma anche lì, per le situazioni più allarmanti, le pene sono state aumentate. Quindi, guardi, alla fine la prescrizione riguarda soprattutto i reati non particolarmente gravi i quali, essendo prevista una pena massima non superiore a sei anni, si prescrivono appunto in sei anni, sette anni e mezzo in caso di interruzione, riguarda tante di quelle cose per cui in carcere ci sono persone che dovrebbero stare fuori, affidate ai servizi sociali o a scontare altre pene alternative. Però vorrei ripetere: teniamo distinti i temi della prescrizione e della ragionevole durata dei processi, perché sono solo in parte sovrapponibili. Il legislatore moderi l’impulso di inserire nuovi reati ogni volta in cui ritiene di dover fare una nuova legge. Piuttosto, si guardi alle spalle e sfoltisca, non di poco, le fattispecie penali esistenti. Altro che prescrizione”. Altro che Bonafede.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.