Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

Er simpaticone si fa strada nella corsa al Campidoglio

Giuliano Ferrara

Il comico del Bagaglino, il Petrolini minore e a tratti anche Calenda. È che di simpatia la democrazia può morire, e in questo hanno ragione i razionali, i competenti, ma senza la simpatia non può farcela

Torno sulla storia della simpatia di Michetti e Pippo Franco perché il primo ottobre siederò maestosamente da Rosati, in Piazza del Popolo, dove già mi recai per assistere alla manifestazione berlusconiana contro i pacifisti dopo l’11 settembre, da me convocata, con un cartello su cui sarà scritto SEZIONE PARIOLI PER CALENDA (versione che mi suggerisce il mitico Marcenaro) oppure un più modesto RADICAL-CHIC PER CALENDA (che sarebbe la mia scelta preferita). Voterò il tizio che mi piace, sapendo che il cavallo meglio piazzato per sbarrare la strada ai simpaticoni della destra antico romana farà comunque la sua corsa al ballottaggio. Purtroppo serietà e ragione, applicazione e studio, preparazione e competenza, sono elementi decisivi del fare politica a un buon livello, e meritano un premio di incoraggiamento, ma c’è il problema del demòtico, la lingua egiziana popolare, per gli aspetti ordinari della vita quotidiana, che nel tempo dei greci e dei romani sostituì in Egitto l’antico linguaggio della casta sacerdotale.

       

Non sto a farla lunga, e Calenda è ricorso al demòtico da buon candidato consapevole quando ha finalmente detto al roman pastore, un pecoraio supergriffato della sua scuderia di candidati, in posa recidiva su Instagram, di piantarla “con quell’orrendo pataccone”, che poi era un orologio di lusso, e di andare a prendersi i voti. Quindi so di parlare a chi non è affatto ignaro del problema: la simpatia è necessaria, senza bisogno di affidare a un comico del Bagaglino o a un Petrolini minore le sorti di una città di milioni di abitanti che non entrano tutti nel Salone Margherita e sono intimoriti dall’eventuale ritorno di Cesare Ottaviano Augusto, troppa grazia.

Dalla Merlino in quel video su Twitter si vedeva benissimo che Pippo Franco faceva il furbo, che voleva il vaccino per sé e il no vax per gli altri, che si era candidato per gioco, che in caso di elezione non avrebbe combinato nulla se non disastri e spettacolini per la plebe. Però era incantevole, come è sempre abbastanza incantevole farsi prendere in giro da uno che ne sa meno di te ma la sa più lunga. Non aveva alle spalle duemila pagine di programma, gruppi di studio e tonnellate di competenze a disposizione dei gravi problemi dell’Urbe, non esprimeva nulla di razionale, ma era tremendamente sciolto, informale, vacuo e astuto come quando ha detto che sui vaccini la pensava come il Nobel Luc Montagnier, che botto. Sembrava un Draghi nel corso di un’invasione barbarica.

E’ che di simpatia, di generico e naturale plebeismo, la democrazia può morire, questo è certo e in questo hanno ragione i razionali, i competenti, i seri e gli affidabili, ma senza la simpatia non può farcela. Infatti Calenda si è reso simpatico a più riprese, ha giocato la carta del demòtico, ma il senso di responsabilità, una vena pedagogica encomiabile, l’urgenza e il senso di un serio lavoro collettivo per uno scopo necessario e impossibile, governare Roma e migliorane il funzionamento, alla fine dovevano prevalere e hanno prevalso. Ce ne sono due e solo due che possono provare a mettere un po’ d’ordine in città, uno è partito prima e ha fatto una campagna più significativa, l’altro ha una posizione elettorale e politica più forte, è un uomo d’esperienza, e scommetto sulla staffetta, sapendo che li scontento entrambi. Se poi si aggiunge questo elogio della simpatia, risorsa banale in fondo ma indispensabile, di cui i marrazzoni della destra imperiale e radiofonica sono purtroppo repleti, gonfi, taboccanti, è il colmo. Il destino d’Italia è nelle mani capaci di un Mario e del suo laconismo, ma questi Eliogabali verbosi, che si candidano come l’augusto candidava senatore un cavallo, mi fanno impazzire. Non vorrei emulare V. Feltri che addirittura si è infilato per noia in una lista di cazzoni, e lo dice papale papale con quella sua aria vagamente distratta a qualche giorno dal voto popolare dei milanesi. Dio ne guardi.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.