Carlo Calenda (foto LaPresse)

"A Roma vinco io. Il Pd peggiore di sempre sta con Gualtieri". Intervista a Calenda, il petardo

Salvatore Merlo

"Non faccio e non farò accordi con nessuno. Dopo Draghi non possiamo tornare a Conte e Salvini". Parla il candidato sindaco della Capitale

Roberto Gualtieri? “ Il consociativismo romano alla Bettini”. Enrico Michetti? “La commedia di Alberto Sordi”. E Virginia Raggi? “Il nulla no-vax”. Seduto nel suo ufficio su corso Vittorio Emanuele, quasi di fronte a Piazza del Gesù, antica memoria democristiana, Carlo Calenda fuma una sigaretta dietro l’altra ed è esattamente come uno se lo immagina: tuona e scalcia,  sfida i suoi avversari in queste elezioni a sindaco di Roma, ma ce l’ha anche con gli intellettuali alla Tomaso Montanari (“curatore dei miei stivali”) e ovviamente con i sindacati “che stanno condannando a morte Ama e Atac, le aziende partecipate dei trasporti e della nettezza urbana. Se continua così faranno la fine di Alitalia. Bettini lo ha già detto: il Pd governerà con i sindacati. Auguri”. E ce l’ha con il Pd, Calenda. Forse soprattutto. Scarsa simpatia ricambiata. Goffredo Bettini, detto il Monaco, l’uomo che sussurrava ai sindaci di Roma e che adesso aiuta  Gualtieri, ha detto che votare Calenda è come votare Raggi. “Ma se sono loro che ci governano con la Raggi e il M5s!”, ride Calenda mentre batte il palmo della mano sul suo programma  (circa duemila pagine: “Nessuno ha messo insieme tante idee pratiche per Roma come ho fatto io”). Il Pd amministra con i Cinque stelle nel Lazio, in regione. E pure al governo nazionale. “E dico di più”, riprende Calenda. “Se Gualtieri diventa sindaco, i Cinque stelle entrano in giunta cinque minuti dopo. I grillini sono già nel le sue liste elettorali”.

Anche Emanuele Felice, ex responsabile economico del Pd, ha accusato Calenda: dice che di fatto è un alleato di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. “Già dicono che sono fascista, la formuletta che rivela la natura di questa sinistra della doppia morale. Loro sono i buoni perché Berlinguer era buono. Tutti gli altri sono cattivi e fascisti. A meno che poi non si alleano con loro, e allora diventano improvvisamente buoni come è successo con Conte. Ma perché non tirano fuori delle idee invece? Il programma elettorale di Gualtieri è composto da 130 pagine di niente. Alla cultura dedica quattro righe. Quattro. Questi per Roma ripropongono il veltronismo, però senza Veltroni”. Che significa? “Veltroni aveva un’idea di città, ora è rimasto solo il meccanismo di potere che gli stava sotto”. E quale sarebbe questo meccanismo? “Goffredo Bettini, Claudio Mancini e Bruno Astorre. Il peggio del Pd romano. Quelli che tengono sotto scopa chiunque, da trent’anni. Quelli che impediscono a chiunque, nuovo e giovane, di venire su e rompere la catena.  Quelli che Enrico Letta non ha il coraggio di sfidare”. Forse prendono voti? “Certo che li prendono. Gualtieri sarà trascinato dal voto di lista. C’è una specie di guazza, di blocco consociativo intorno, sopra e sotto di lui. Una cosa che va dal figlio di Romiti, Pier Giorgio – candidato – passando per i sindacati fino alla sinistra di Stefano Fassina. C’è pure un pezzo del mondo di Gianni Letta, con Gianni Battistoni, il sarto di via Condotti, candidato nelle liste di Gualtieri”.  Il salotto costituito? “Battistoni è persona degnissima. Romiti voleva candidarsi con me, ma manco per sogno...”. E come ben si vede è pirotecnico, Calenda.  Spericolato e temerario come un ariostesco “cavalier villano”. Per questo lo accusano di essere un solista, incapace di fare squadra. E’ vero? “Ma secondo voi il programma per Roma, di duemila pagine, l’ho scritto da solo? Per questa città abbiamo un piano che è stato scritto da cinquecento persone in ventisette tavoli di lavoro”. Allora ci dica chi sarà il suo vicesindaco. “Non posso. Lo annuncerò in conferenza stampa”. 

Pensa di vincere, Carlo Calenda. O almeno così dice. “Vinco al primo turno”. Ma se dovesse perdere invece che succede, che farà? “Continuo a combattere, insieme ad Azione. Che deve diventare il grande partito progressista e liberale italiano. Dopo Mario Draghi non possiamo ricominciare con Conte e Salvini. Qualcuno deve spezzare l’equilibrio tra populismo e sovranismo”. Vasto programma. Ma se Gualtieri diventasse sindaco, Calenda lo aiuterebbe? “Posso dargli il mio programma visto che quasi non ne ha uno. Ma non faccio e non farò accordi con nessuno. Io non mi metto con quelli che tifano per la conservazione e che vogliono che Ama, Atac e i vigili urbani restino al servizio dei sindacati e non dei cittadini. E questo vale anche nel caso in cui dovessi vincere io le elezioni: con loro non ci sto”.

E con Michetti, il candidato di Giorgia Meloni? “Ma dai. Michetti ha candidato nelle sue liste il generale Mimmo Rossi”. E chi è? “E’ un ex parlamentare di Scelta civica. Poi passato attraverso le primarie del Pd per fare il sindaco ai tempi di Roberto Giachetti. E adesso transitato con Michetti a destra... Pensano che Roma sia un ‘puttanaio’ in cui puoi fare quello che vuoi. Cinismo politico fuori scala”. Michetti si è un po’ inabissato. Non partecipa più ai dibattiti pubblici con gli altri candidati, per strategia. Sarà assente anche al prossimo, quello organizzato alla festa del Fatto. “Lì ho deciso di non andarci nemmeno io. Non voglio in alcun modo legittimare quel giornalismo fondato sugli insulti, le insinuazioni e gli sputacchiamenti. Non è un posto serio dove fare un confronto. Spero invece che ci possa essere un dibattito televisivo con Gualtieri, Michetti e Raggi. A Sky, La7, Mediaset o alla Rai... Ma sapete qual è il problema di Michetti?”. Lo dica lei. “Il problema di Michetti è che è un candidato per caso. Dice delle enormità. Ha persino detto che quando fai un’opera pubblica non puoi prevedere prima quanto spenderai. Una  stupidaggine talmente grossa da risultare incommentabile. C’è da svenire. E’ un signore senza arte né parte il cui messaggio è: ‘Votate me perché così votate la Meloni e dunque votate contro la sinistra’. Che, specularmente, è anche l’unica cosa che riesce a dire il Pd: ‘Votate Gualtieri altrimenti arrivano i fascisti’. E’ desolante”. E perché i romani dovrebbero preferire Calenda? “Per rompere questo gioco. E perché io sono l’unico che ha un’idea per risollevare Roma”. Dicono che Calenda faccia soprattutto rumore. Che sia un petardo. “Ma il rumore è al confine con il suono”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.