Virginia Raggi e Carlo Calenda sono candidati a sindaco di Roma (LaPresse)

Misteri e piaceri sotto il Campidoglio

Quale sindaco per Roma? Tu chiamale se vuoi elezioni...

Michele Masneri e Andrea Minuz

Troppi candidati. Ma alla fine la sfida sarà tra Raggi, Gualtieri, Michetti e Calenda. La Capitale era famosa per due cose: il verde e le strade. Adesso, tra buche balneabili e pini disseccati, cosa rimane? Forse le ciclabili impossibili

Come con i camerieri per la stagione estiva, sfiancati dal reddito di cittadinanza, ormai non si trova più nessuno disposto a fare il sindaco di Roma. I candidati vanno pregati, coccolati, oppure messi nelle condizioni di non poter dire di no. Persino Calenda, il più scalmanato sui social, non si capisce se corre veramente da sindaco o se sfrutta invece l’occasione per diventare un influencer su Instagram. L’immagine del suo faccione sui numerosi autobus che prendono fuoco è comunque forte, “buca”. Ed è subito Roma.

 

AM: Nell’attesa che la competizione elettorale entri nel vivo, fioccano intanto le prime cariche importanti: Maurizio Costanzo è il nuovo “responsabile delle strategie di comunicazione della Roma”. “La prima cosa da fare”, ha detto, “è stringere i rapporti tra Mourinho e la città”.
MM: E un “Mourinho Costanzo Show”, un late-night solo su Netflix.

 

AM: A questo punto è lecito sognare: Bruno Vespa a capo della comunicazione della Lazio. Pensa che derby! Le partite della Lazio che si aprono con la musica di “Via col vento” e, quando gioca la Roma, “Se penso a te”, la sigla di Bracardi per il Costanzo Show, sparata a tutto volume dagli altoparlanti dell’Olimpico.
MM: Intanto, dopo il caso “Azelio”, il nubifragio abbattutosi sulla capitale non solo spegne gli autobus in fiamme ma pare un ennesimo presagio contro la sindaca. Non si capisce se è cambiamento climatico o veramente qualche divinità offesa ma il clima delle ultime settimane – meteorologicamente – è infame. Calura mediorientale fino a ora di pranzo, poi nubifragio tropicale con epicentro allagatorio Roma nord. Il fuoco e l’acqua, i due elementi assoluti, uno contro l’altro.

 

AM: Tutto ampiamente previsto. Specie se ti vai a rileggere l’accorata lettera d’amore che alla Raggi scrisse suo marito per festeggiare l’elezione della nuova sindaca e quel formidabile 67 per cento: “L’acqua il bene più prezioso che abbiamo, scorre sempre, è incontenibile, è come te...”. Era una lettera struggente che rievocava gli anni belli dei “gruppi d’acquisto solidale” e del “primo infopoint in via Battistini per il referendum sull’acqua e il nucleare”, ma ricolma di metafore idriche che lette oggi fanno un certo effetto (“Sei stata un fiume in piena, amore mio”, come Corso Francia, come Ponte Milvio, presagi, premonizioni, presentimenti, complotti…).
MM: Forse c’è un nuovo complotto per farla vincere. Comunque il candidato del centrodestra, il fantastico Michetti, promette: “Basta pensare a come vedevano Roma i grandi Cesari e i papi: non avrebbero mai costruito le piramidi perché non erano di pubblica utilità, costruivano ponti, strade, acquedotti, anfiteatri per il benessere dei cittadini. Riguardo agli allagamenti, servono infrastrutture adeguate dall’ammodernamento della rete fognaria ai depuratori, alle vasche di esondazione”, ha detto al Corriere. Pratico, Michetti, ha detto anche che pensa “a una variante generale del piano regolatore dove inserire una città della pubblica amministrazione con il front office di tutti i dicasteri più importanti, per evitare che i cittadini facciano il giro delle sette chiese”. Insomma aveva ragione sempre Lui! Roma si espanderà verso i colli fatali e verso il mare (Michetti è accusato di aver sostenuto l’igienicità del saluto romano anche in funzione antivirus). Insomma, siamo sempre al popolo di trasvolatori e all’Eur; ma stavolta con lo Spid.

 

AM: Ce la farà? O vincerà il complotto pro Raggi? Certo, destra e sinistra si stanno dando un gran da fare per farla rieleggere. E lei ovviamente ci crede. Ecco la grande cena di avvio della campagna elettorale in un ristorantone di Ostia Antica. I “sei commensali massimo” a tavola che diventano quattrocento attivisti (ma con “manager Covid” al seguito che controlla la giusta distanza e prende le temperature). Cori, applausi, selfie, un’agghiacciante torta gigante, tipo “mimosa” doppio strato, che compone la scritta “RAGGI”. Sembrava una cresima sulla Pontina.
MM: Speriamo di infilarci presto a una cena elettorale di Michetti, per un grande reportage sul centrodestra romano. C’è mancato poco che puntassero direttamente sul Cecato, al secolo Massimo Carminati, re di Corso Francia e della stagione di “Mondo di mezzo”, quella che pareva Mafia Capitale. Col suo mitico distributore di benzina, forse ormai sommerso nei diluvi dei giorni scorsi.

 

AM: Ti ricordo comunque che Michetti è un “professore universitario di tutto rispetto” (cioè docente a contratto a Cassino), come ripeteva ormai da giorni Giorgia Meloni nei talk-show.
MM: La nostra Stanford!

 

AM: Esatto! Anche se tutti lo sanno, e lui per primo, che non è lì per il “curriculum straordinario” (sempre Meloni), lo studio legale nei pressi di Piazza Mazzini, feudo dell’avvocatura romana o la direzione della “Gazzetta Amministrativa”. Michetti porta in dote la sua rubrica fissa a “Radio Radio”, filo diretto con la città. “Con lui in onda faccio gli stessi ascoltatori che con le trasmissioni sul calciomercato. Ha delle idee rivoluzionarie per la città”, dice Ilario Di Giovambattista, guru dell’etere romano. Per quei pochi che non lo sanno, bisogna ricordare che a Roma ci sono più radio che buche. Radio che per ventiquattr’ore su ventiquattro parlano di calcio, ma anche dei problemi della città, di politica, attualità. Tutto. Attorno agli speaker è cresciuto uno stardom incomprensibile al di fuori dal Raccordo Anulare, su cui svetta il magistero di Mario Corsi, aka “Marione”, la cui voce su Wikipedia inizia così: “È un conduttore radiofonico e ex terrorista dei Nar” (con qualche capo d’accusa condivisi col “Cecato”). E Marione fu anche ospite a “Piazza Pulita” per parlare dei vecchi tempi e della sua amicizia con Carminati. I non romani se ne saranno sicuramente accorti salendo in taxi a Termini o Fiumicino: le radio romane sono un mondo a parte, un’oasi di populismo sfrenato, abbastanza fascistoide, sempre a ruota libera su tutto, ma coi piedi ben piantati nel ventre della città. Del resto, in una città in cui si passa gran parte della propria vita in macchina, le radio spostano voti. E panchine degli allenatori. “Io parlavo solo con le radio nazionali. Devi stare fuori da quelle cose lì”, consigliava Capello a Paulo Fonseca, quando arrivò a Roma.
MM: Ma qui entriamo nel magico mondo delle radio e tv romane, che è stato gloriosissimo e raccontato pochissimo. Come TeleRoma56, che trasmetteva dalla villa di Bruno Zevi sulla Nomentana, quella che ospitò le meglio archistar mondiali, compreso Lloyd Wright. Suo nipote Tobia si candida alle primarie per fare il sindaco.

 

AM: In caso, c’è anche il candidato del Partito comunista, Claudio Puoti, “medico e strenuo difensore della sanità pubblica”, presentato “nel segno di Petroselli”, come dice Marco Rizzo, contro il Pd che “ha tradito”, contro “Gualtieri che è amico delle banche”. I sindaci comunisti (sempre Rizzo), “intendono porre le città al di fuori del quadro istituzionale classico”. Ma a Roma, a parte una ormai tardiva fuoriuscita dalla Nato, non saprei cos’altro debba succedere per mettere la città “fuori dal quadro istituzionale classico”. Il problema è che ormai c’è una quantità di candidati inenarrabile. Ognuno ha un amico che si candida. Mentiamo in continuazione per assicurargli la nostra fedeltà. Al prossimo giro, proviamo anche noi. Ce la vedremo con Christian Raimo. Nel frattempo però Raggi si trova pur sempre in una condizione ideale. Se vince è un miracolo (i romani “hanno capito”). Se perde è un complotto. E il suo lavoro non vuole farlo nessuno.
MM: Col diluvio di Roma nord però nessun complotto è invocabile, non si può dire che i riparatori di tombini sono “di Velletri”, come i marmisti nel caso della famigerata targa intitolata all’ex presidente. Va detto però che se non complotto, il caso della toponomastica romana è da sempre coerente col karma della città (esiste un cancelletto #sciattown sui social). E dunque ecco per esempio una indicazione Giuseppe Giacchino Belli (non si sa se con maniche, per eventuali infreddature); e sempre c’è quella leggera confusione anche di monumenti celebrata anche in maniera molto “meta” nel nostro classico episodio “First Aid” dei “Nuovi mostri”, in cui Alberto Sordi aristocratico debosciato al volante della sua vecchia Rolls “salotto viaggiante” cerca una villa dalle parti di via “Sciangai” scritto proprio così, e poi si ferma a chiedere informazioni a un povero “malconcio” sotto al “monumento a Mussolini” (che sarebbe Mazzini).

 

AM: Anche con “Azelio” era un po’ colpa della toponomastica precedente e della casta dei marmisti.
MM: Però se ci pensi la sciatteria romana anche della toponomastica e della encomiastica parla molto della città. Sopravvissuta a tutte le contestazioni: mentre in tutto l’occidente si abbattono le statue di colonialisti e brutti ceffi, qua rimane tutto. Tutto si tiene. Non c’è bisogno di contestare e abbattere, tutto casca a pezzi da sé, le statue del Pincio non vengono imbrattate per ideologia perché si fa prima a sfasciarle per vandalismo apartitico. La città è poi piena di fasci di combattimento rimasti ai piedi di statue, nei basamenti di ponti, nelle cancellate di ville e parchi. Chi capitasse a Roma da un altro pianeta penserebbe a una città di inguaribili fascisti: ma no, è solo pigrizia. Tutto si stratifica e diventa storia. Anche la monnezza stratificata è ormai tutelata dalla Soprintendenza.

 

AM: Una cosa è certa. La Roma di Virginia Raggi passerà alla storia come la più “piranesiana” di sempre. Forse è stata tutta una grande installazione messa su per celebrare i trecento anni della nascita del genio visionario (che cadevano giusto nel 2020), rievocando in 3D e in scala 1:1 le magnificenti, apocalittiche “Vedute di Roma”, o le impossibili architetture delle “Carceri”. Del resto, a Roma la natura non ha dovuto aspettare il Covid per “riprendersi i suoi spazi”, come dicevano i romantici del virus. Roma è ormai un trionfo di piante e arbusti e boscaglie e liane che inghiottono rovine, monumenti, ma anche stradoni desolati di periferia, spartitraffico, marciapiedi sgretolati, pezzi di Raccordo Anulare. Puro Piranesi. Coi muschi e i licheni giganteschi che si attorcigliano tra le rovine e le colonne come i vermi fuori dai cadaveri, secondo un’immagine cara ai romantici inglesi. E poi c’è l’aria, il presentimento di un golpe animale sempre imminente. Roma come un grande bestiario all’aperto con tutta una sua simbologia medievale: gabbiani, cinghiali, topi, storni. I misteriosi attacchi delle cornacchie dell’Eur. Il terribile “punteruolo rosso delle palme” (Rhynchophorus ferrugineus), micidiale parassita dell’Asia, ora a suo agio nella Ztl, che attacca e divora le ville storiche di Roma. Una miriade di rettili, tra cui il celebre coccodrillo avvistato nel Tevere. Più specie di pappagalli che in Brasile e nel rio delle Amazzoni. L’Esquilino, per dire, è tappezzato di manifesti con foto di pappagallini smarriti e relativa ricompensa per chi li trova (chissà dove poi). La “biodiversità” ci è sfuggita di mano. E Roma offre finalmente lo scenario ideale per una “decrescita felice” che ci ricongiunge direttamente alla “Genesi”. Per carità, la città è sempre stata così: “un salotto dai mobili splendidi che per tappeto ha il fango” (Mario Praz). Ma il fango sta salendo un po’ troppo, come l’acqua alta a Venezia.
MM: Anche il Corriere ha lanciato l’allarme, “Zoo Capitale”. Roma come “un BioParco fuori controllo”. Alberi e arbusti ovunque tranne dove servono. I parchi infatti sono chiusi. Villa Celimontana è sbarrata da mesi. Ovunque i pini di Roma, simbolo della città, stanno andando tutti a quel paese per un altro insetto che li divora. Si chiama cocciniglia tartaruga, è una specie di variante del punteruolo, che li sta massacrando. Un altro presagio non buono per la Raggi; ma quella del verde secondo me è una grande nemesi psicanalitica. Roma è una delle città più verdi del mondo, il suo servizio Giardini era imitato ovunque. Poi lì è scoppiato il primo scandalo della presunta Mafia Capitale. E le strade, sfasciate, rifatte malissimo: a piazza Venezia, dopo il lavorio di mesi, una enorme cicatrice tra il sampietrino e l’asfalto. Urbanistica tattica o sciatteria atavica? Insomma per due cose era famosa Roma. il verde e le strade, e adesso, tra le buche balneabili e i pini disseccati, cosa rimane?

 

AM: Le piste ciclabili! Rimane sicuramente l’ossessione compulsiva della Raggi per le piste ciclabili inaugurate in posti sempre più improbabili e sperduti. L’ultima: un ponte ciclopedonale a via Jonas Edward Salk, zona Saxa Rubra, per “utilizzare via di Quarto Peperino e avvicinarsi alla spina dorsale del Tevere”. E s’immaginano subito impiegati Rai in mountain bike che si perdono nella boscaglia impervia dell’Aniene e non si ritrovano più. Rimarranno gli autobus in fiamme. La mondezza attraversa tutte le amministrazioni, ma l’Atac al napalm è uno specifico di questi ultimi anni. Nella Roma immaginata da Piranesi c’era già “Gotham City”, ma la Roma di Virginia Raggi è una sfrenata rilettura della Manhattan infernale di Jena Plissken. “1997: Fuga da New York”, ma coi monopattini. MM: Già, mentre Milano subito ripresasi dal Covid, ha cominciato la sua nuova rincorsa soprattutto nel corporate design. Rifacimento aeroporto di Linate, con esposizione di mobilio Compasso d’oro. E soprattutto tram bianco immediatamente dedicato a Carla Fracci. Non deraglia, non si incendia. Beppe Sala è tornato in grande spolvero. AM: Potremmo candidare lui a Roma! Però Roma potrebbe, per non subire nuovamente le angherie della capitale morale, lanciare un “vaccino d’oro”, per sottolineare l’eccellenza sanitaria in cui ha surclassato la rivale. Del resto, gli elettori vanno ormai divisi per categorie vaccinali.
MM: È il giochino che si fa nelle sere in cui, venuto a mancare il coprifuoco, non si sa cosa dirsi fino alla mezzanotte. Di solito si fa coi brand; se Moderna è chiaramente Gucci o Prada, Pfizer Armani (classico, si porta su tutto), Johnson & Johnson è il fast fashion Uniqlo, Astrazeneca è Zara o Mango o Alviero Martini. Ma farlo coi candidati? Vediamo. Un sindaco Moderna non c’è di sicuro perché tutti l’avremmo votato. Pfizer è Gualtieri, classico, tranquillo, usato sicuro, Pd in purezza invecchiato nelle barrique della Ztl (già si andò a votarlo alle suppletive quando Gentiloni lasciò il seggio parlamentare andando a fare il commissario europeo: plebiscito riflessivo). Johnson and Johnson è invece Michetti, un po’ cheap, bassa copertura ma prendi uno e porti via due: al suo posto si sa infatti che è già pronta a succedergli la sua vice designata, la rocciosa magistrata Simonetta Matone: la Kamala Harris romana, come ha genialmente scritto Maurizio Crippa. Accusata di omofobia però da alcune associazioni perché, nel suo ruolo di consigliere della Sapienza per le violenze giovanili, avrebbe firmato in passato un appello contro le unioni civili. Però a questo punto ci si chiede perché il casting per le “sindacarie” di destra non l’abbiano fatto alle audizioni in Senato per la legge Zan, in cui su richiesta della Lega sfilano suore, sacerdoti, magistrati, ex gay redenti, gay pentiti, insomma una colossale “Amici” della destra che potrebbe produrre una classe dirigente spendibile anche a livello nazionale sul lungo periodo. Invece Giovanni Caudo è chiaramente Sputnik. Il grande amministratore di sinistra-sinistra, urbanista, già assessore con Marino, attualmente minisindaco del Terzo Municipio, col suo assessore Raimo leggendario, che apre il suo ultimo saggio con le parole scolpite nel travertino della storia: “Non sono mai stato lontano da Roma per più di due settimane”. E se vede! Efficacissimo ma remoto, proprio come il vaccino russo che tutti decantano ma nessuno ha mai visto nella realtà. Ma si sa che a Roma c’è in atto un secondo complotto per far vincere la Raggi, e lei è Astrazeneca in purezza: che soprattutto con la ri-elezione e il richiamo rischia di far venire il trombo a noi utenti e cittadini tra buche e incendi e inondazioni.

 

AM: Ma non abbiamo parlato abbastanza di Calenda! Nel triangolo Trieste-Pinciano-Parioli è sicuramente ben visto (e probabilmente prenderà voti solo qui, nel II municipio, dove il Pd di Gualtieri è roba da statali e la destra di “Radio radio” troppo poco chic). Il problema non è mai il fascismo, il saluto romano, figurati. Casomai la burinaggine che si porta dietro quella roba lì. Gli over 70, con doppio richiamo Astrazeneca, cioè la generazione che ha fatto le sorti di questa città, sono in parte convinti dalla faccia pulita e da ex-bambacione di Calenda. Ma avendo a loro volta dei figli della stessa età, cresciuti da loro nella bambagia, e che mediamente non stimano, temono che il nostro possa non essere all’altezza. Esattamente come i loro eredi che per lo più non fanno nulla o se fanno fanno danni. Gli over 45, Pfizer, come noi (anche se tu hai fatto Johnson & Johnson), quelli che alle medie o al liceo hanno avuto tutti un Calenda in classe, mediamente simpatico, ma non troppo, un po’ paninaro, poi ovviamente di sinistra, secchione ma senza eccellere, insomma pure loro, che comunque lo voteranno, non nutrono grandissime speranze. Poi ci sono gli under 40, che da queste parti non votano. Sono un po’ affascinati dall’estrema destra fino ai 18 anni, poi scoprono la seconda casa a Sabaudia, il tennis, il circolo, la palestra, il calcetto all’Acqua Acetosa. Poi c’è il demi-monde di palazzinari e costruttori. Qui temo che Calenda sia un po’ un marziano. Preferirebbero uno meno appariscente, decisamente più opaco, ma tra Gualtieri, Raggi e Michetti, forse potrebbe spuntarla proprio lui. Solo che invece di fare i safari nelle periferie su Instagram, dovrebbe prima di tutto farsi socio all’Aniene.