Marco Minniti è stato ministro dell'Interno durante il governo Gentiloni (LaPresse)

Il ruolo dell'Europa

Tre idee per governare i flussi migratori e disinnescare la mina Libia. Parla Minniti

Annalisa Chirico

Una conferenza per ufficiali italiani e stranieri. E al Foglio: “L’Africa oggi è il principale incubatore di una rinascita del terrorismo internazionale”
 

Nelle ore in cui la nave Sea Eye 4, battente bandiera tedesca e di proprietà di una Ong tedesca, si dirige verso le coste italiane carica di migranti recuperati nelle acque internazionali, l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti tiene una lectio magistralis presso l’Istituto Alti studi per la Difesa. “Non parlo di stretta attualità”, si schermisce lui, ex politico, ex parlamentare (“mi sono dimesso volontariamente”), neopresidente di Med-Or, la fondazione di Leonardo che si propone come ponte tra Italia, Mediterraneo e Oriente, sempre appassionato esperto di geopolitica e sicurezza al punto di additare le responsabilità di un’Europa incerta e il rischio di un continente africano “principale incubatore del nuovo jihadismo internazionale”. 

 

“Sono fresco di vaccino, perdonatemi se dirò qualche baggianata, sono gli effetti collaterali…”, scherza Minniti in apertura della conferenza web cui partecipano decine di alti ufficiali provenienti dai centri di formazione interforze di Italia, Francia, Portogallo e Spagna. “Viviamo in un mondo a-polare che esige un nuovo ordine mondiale – dichiara Minniti al Foglio in una conversazione a margine dell’evento – Nel Mediterraneo l’Europa gioca un ruolo sempre più cruciale per gli assetti e la stabilità del pianeta, per questo servono una visione e una politica di difesa comune nel quadro di un deciso rilancio dell’alleanza transatlantica”. 

 

Intanto l’accordo di Malta sembra fallito a causa della ostilità dei paesi europei ad accettare la logica dei ricollocamenti. “Per governare i flussi migratori servono tre elementi. In primo luogo, devi avere un piano per la ricostruzione economica, sociale, sanitaria e istituzionale della Libia. Nel momento in cui l’Europa discute della rinegoziazione con la Turchia di una terza tranche di investimenti destinati alla cosiddetta ‘rotta balcanica’, è doveroso investire massicciamente nel Mediterraneo centrale. In secondo luogo, l’Europa deve definire con Libia e Tunisia un accordo sulla gestione dei flussi migratori basato sui corridoi umanitari per chi ha diritto alla protezione internazionale. Si può fare: le Nazioni Unite operano ancora in quell’area e finalmente c’è un governo di unità nazionale, guidato dal primo ministro libico Dbeibah, che va sostenuto. È necessario poi ripristinare il modello dei rimpatri volontari assistiti che nel 2017-2018, con l’aiuto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, hanno consentito a 27 mila persone di lasciare la Libia per rientrare spontaneamente nei paesi di provenienza. In terzo luogo, non possiamo abbassare la guardia sul contrasto ai trafficanti di esseri umani: non possono essere loro a dettare le agende e il futuro delle nostre democrazie. Con il rilancio del multilateralismo e il tramonto dello slogan ‘America first’, gli Stati Uniti del presidente Joe Biden tornano a far sentire la propria presenza nello scenario mondiale ma la sfida principale per loro resta il Pacifico. L’Europa invece svolge un ruolo decisivo nel Mediterraneo dove è destinata alla sconfitta se agisce in ordine sparso. È questione di taglia: con Turchia e Russia né la Francia né la Germania possono competere singolarmente”. 

 

 

Nel corso del keynote speech riservato agli ufficiali superiori, Minniti si sofferma sul “mondo dominato dalla logica cooperazione/competizione e reso più fragile dalla pandemia”. Citando il celebre saggio “Connectography” di Parag Khanna, il presidente di Med-Or parla delle conseguenze di una società sempre più interconnessa e attraversata da decine di conflitti a bassa e media intensità, perciò strutturalmente instabile. Sullo scacchiere israelo-palestinese, secondo Minniti, “si giocano tre partite mentre emerge drammaticamente la stanchezza delle strutture sovranazionali che governano il mondo. Innanzitutto, c’è una partita interna ad Israele: l’aggressione da parte di Hamas ha congelato l’esito post elettorale e ha restituito al premier Netanyahu, in crisi di leadership, un ruolo di nuovo centrale nella politica nazionale. Nel mondo arabo assistiamo alla sfida aperta tra Hamas e l’Autorità nazionale palestinese il cui leader Abu Mazen è sempre più costretto ai ‘piccoli passi’ al punto di dover rinviare l’appuntamento elettorale. Per Hamas la radicalizzazione del conflitto è finalizzata ad assumere la guida del mondo palestinese. Non esiste una intelligenza tra queste due crisi, e tuttavia non c’è dubbio che la radicalizzazione di fatto sostenga leadership radicali. La terza sfida è interna al mondo sunnita: gli scontri mettono in evidenza le fragilità dell’Accordo di Abramo e rendono visibile la linea di faglia tra il mondo arabo in quanto tale, i paesi del Golfo capitanati dagli Emirati arabi, e dall’altra parte Turchia e Qatar. Non si può trascurare poi il ruolo particolarmente rilevante dell’Iran sciita. La ritrovata centralità del Mediterraneo è dovuta anche al fatto che Russia e Turchia ritengono di poter recuperare l’antico sogno imperiale proprio in questo quadrante del mondo. Se qualcuno, nel recente passato, avesse ipotizzato che, a poche centinaia di chilometri dal territorio europeo, si sarebbero insediate presenze militari russe e turche, nessuno gli avrebbe creduto. Oggi è la realtà. La Libia non è soltanto un problema dell’Italia ma è un problema dell’Europa. La Libia, come tutti i paesi del Nord Africa, può innescare un effetto domino che avrebbe conseguenze disastrose per tutti noi. Ci sono in ballo interessi strategici di carattere economico, energetico, di sicurezza. L’Africa diventa sempre più un rifugio sicuro per al Qaida e i suoi eredi, per lo Stato islamico e per le varianti autoctone del jihadismo islamista. L’Africa oggi è il principale incubatore di una nuova rinascita del terrorismo internazionale”. Di questo, presidente, c’è consapevolezza? “Mi faccia un’altra domanda”.

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