caos capitale

Zingaretti chiede garanzie per candidarsi a Roma. Ma Conte non può dargliele

Valerio Valentini

Letta lo pressa, e lui è pronto a cedere anche se riluttante: "Ma chi ci garantisce che il M5s non faccia saltare tutto?", si chiede il governatore. Il Nazareno marca Giuseppi, che però deve guardarsi da Di Maio. Gualtieri si sfila, e la Raggi organizza la rappresaglia: "Sono intoccabile"

In fondo è tutto un problema di garanzie. Quelle che Nicola Zingaretti, quasi ormai più rassegnato che convinto a dover fare il grande passo, chiede prima di decidersi, ben sapendo però di ritrovarsi a chiederle a chi può dargliele solo a metà. Perché da un lato c’è quell’Enrico Letta che da settimane fa pressione sul presidente del Lazio perché si candidi per il Campidoglio: “Nicola, con te siamo sicuri di vincere”, ripete il segretario al suo predecessore. Ragionamento che poi, nei dispacci meno edulcorati che le diplomazie si scambiano, assume quasi i toni dell’avvertimento. “Così se poi non accetto la sfida e il Pd perde al Comune, diranno che l colpa è mia”, si sfoga coi suoi collaboratori Zingaretti. Che in effetti, come dice Francesco Boccia, “non avrebbe rivali”.

 

Il problema è che l’ex segretario del Pd, oltre a vincere in Campidoglio, vuole non perdere neppure alla Pisana: non  regalare a Salvini e Meloni la più importante regione che il centrosinistra continua a governare. E qui, appunto, si arriva alla richiesta di garanzie: quella, cioè, di poter restare alla guida della giunta fino al momento in cui verranno indetti i comizi, un mese prima del voto, insomma fino almeno a inizio settembre: solo allora si dimetterebbe da governatore, avviando la regione verso un voto da tenersi a fine anno, o dopo. Anche perché esiste pure l’incognita del Covid: e Zingaretti vuole restare alla guida della regione, a condurre la campagna vaccinale, fino all’ultimo momento utile.
“E invece chi ci assicura - si chiede - che un attimo dopo che io annuncio la mia candidatura il M5s non si sfili in consiglio regionale, mandando tutti al voto?”.

 

Dovrebbe essere Giuseppe Conte, ad assicurarglielo. Lo stesso che a ora di pranzo riunisce i capigruppo di Camera e Senato e spiega di essere pronto a inaugurare i lavori per la campagna delle amministrative. “E con Virginia Raggi che si fa?”, gli chiedono riservatamente. Ed ecco il guaio. Perché l’ipotesi sognata a Nazareno - secondo cui l’ex premier potrebbe convincere la sindaca uscente a farsi da parte - non esiste. E bastava orecchiare le chiacchiere che un capannello di  ex ministri e sottosegretari grillini si scambiavano giovedì nel cortile di Montecitorio (“Se Giuseppe, come primo atto della sua nuova guida, silura Virginia, vuol dire che è già finito”; “Non è mica iscritto al Pd”...), per capire quanto sia impraticabile quella via. Ma c’è di più. C’è che la Raggi, sapendo che con Zingaretti in campo lei annasperebbe già al primo turno, chiede ai suoi di sabotare l’operazione proprio minacciando quel che più il governatore teme: la rappresaglia in regione. Non a caso la sindaca passa in rassegna le truppe capitoline di Camera e Senato, chiede a tutti un atto di fede in vista della riunione ristretta che si svolge in serata. “Virgiia, siamo con te”, le dicono. E lei anche per questo si sente intoccabile, forte del consenso di quella base di attivisti, romani e non solo, che tutti i big devono tenersi cara, perché è da lì che passerà, quasi certamente, la scelta dei membri del nuovo futuribile direttorio. E’ questo il sentiero scivoloso lungo il quale Conte, come confida al suo acquisito consigliere politico Goffredo Bettini, deve muoversi. Guardandosi le spalle da Luigi Di Maio. Il quale predica, è vero, la necessità di saldare i legami col Pd, ma sarebbe prontissimo a denunciare l’abiura del fu avvocato del popolo non appena questi vendesse l’anima al Nazareno per sfiduciare la Raggi.

 

Insomma, un guazzabuglio. Un rebus che non troverà soluzione nelle prossime ore, a dispetto dell’apparente certezza mostrata da quel Roberto Gualtieri perennemente in attesa di conoscere la sua sorte: “Non toccherà a me”, confida ormai agli amici. Ma chissà. 
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.