ANSA/ETTORE FERRARI

Già ricominciamo a consegnare l'Italia a Salvini?

Giuliano Ferrara

L’Infiltrato sta trovando la sua misura. Draghi la troverà, ma ha pochi strumenti e pochi corazzieri

Non per essere frondista a tutti i costi, ma il sistema istituzionale e politico italiano è curioso. Il nuovo governo è sfidato in campo aperto da un Infiltrato interno alla maggioranza, goloso di voti e consensi sociali, e non ha strumenti per buttarlo fuori o ridurlo a consigli un pochetto più miti. Risultato: si fa quel che si può.

 

Conte, il cui curriculum vale un centesimo di quello di Draghi, sembrava uno statista che faceva il suo fin quando la crisi della coalizione post-Papeete lo ha costretto a dimettersi. Draghi, che dovrebbe far impallidire anche solo il ricordo del predecessore per la qualità dell’esperienza personale in Italia e in Europa (e nel mondo), per la missione unanimistica affidatagli in gran pompa, dopo un paio di mesi sembra già in bilico, spiazzato, per la tronfia esibizione, e furba, dell’Infiltrato, quel senatore Salvini che si fa araldo chiassoso delle regioni tutte, dei ristoratori, degli ambulanti, degli interessi lesi dalle chiusure sanitarie (parecchi), della gente comune piegata dall’immane difficoltà di lavorare e vivere e studiare (per allievi e insegnanti e famiglie) in regime di epidemia. Sul coprifuoco ha conquistato perfino il consenso del mio amato Crippa, che elettoralmente non vale poco.

 

Conte era sorretto da una maggioranza anomala e risicata seguita al suicidio del Papeete, tenuta insieme finché è durata dagli strepiti impotenti dell’opposizione parolaia e da alcune scelte esistenziali intorno alle quali non volò una mosca. Draghi è elevato da una maggioranza di unità nazionale voluta dal capo dello stato, con numeri da sballo e l’appoggio baldante di stampa e regime. Ma il nostro supereroe, il salvatore dell’euro, il candidato salvatore della patria, e lo dico senza ironia, non si può districare dal ricatto e dalla slealtà di chi predica bene ma razzola male, da chi si astiene callido sulla questione oggi principale decisa dal governo di cui fa parte, in attesa di tuoni e fulmini sul piano di ricostruzione, per lo meno con i toni di rischio calcolato cavalcati nella prospettiva di una campagna elettorale già in corsa. Bisconte liquidò Salvini grazie al Papeete, Draghi se lo ritrova alla testa del forconismo di maggioranza, e non è sicuro che si suiciderà di nuovo. Ha il vantaggio di fare questa campagna dal governo e dall’opposizione, autorevolizzato per quanto si può e sbracato quanto si vuole. E il premier non ha alcuno strumento, salvo la crisi improponibile o un improbabile cambio di maggioranza in corsa (l’Infiltrato lo sa, Draghi non tarderà a rendersene conto) per ammansire o far stramazzare la Bestia.

 

L’Infiltrato sta trovando la sua misura, il sistema è fatto per impedire al capo del governo di fare il suo mestiere e per consentire ai demagoghi di fare il loro. Sono sicuro che Draghi troverà la sua, di misura, perché sono frondista di temperamento ma fino in fondo draghista di ragionamento, eppure non vedo come, non scorgo strumenti e congiunture politiche utili. I grillini hanno parecchi problemi, e tutti purtroppo ridicoli. Zingaretti si occupa del Lazio (bene) e di Roma (mica poco, ma non basta). Bettini è ideologo ingraiano senza più denti. Franceschini prende l’arte e bada alla sua parte. Letta Jr. propone un patto che, dice lui, parla agli italiani e al mondo del lavoro e dei territori (parola malata), sulla scia di un precedente patto Ciampi del 1993, quasi trent’anni fa, non proprio una primizia la lenzuolata dotta nel Corriere. Insomma: gli avevamo consigliato sangue e merda, ha fatto un po’ di strepito incoraggiante, sembrava quasi un guerriero col cacciavite, ora è subito Nomisma o Ares o strategia dei diritti civili. Il draghismo non frondista, sussurrante e stilé, rispetta le regole e spinge Draghi nelle braccione agitate dell’Infiltrato o lo obbliga a subirne gli umori e gli ardori. Domanda: ricominciamo a consegnare l’Italia a Salvini, il neoeuropeista?

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.