Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (foto LaPresse)

“Dire che la Dc è il partito della mafia significa infangare anche Mattarella”

Luca Roberto

L'ultima puntata della trasmissione Atlantide torna sul tema della Trattativa e lancia accuse a Bruno Contrada: “Tradì Falcone”. Paolo Cirino Pomicino: “Un programma vergognoso, un grave esempio di disinformazione”

È trascorso poco più di un mese da quando la Corte d’Appello di Palermo ha stabilito, per l’ingiusta detenzione di Bruno Contrada, un risarcimento di 667 mila euro. Ma questo non ha scoraggiato i suoi detrattori che tornano a scagliare nuove e infamanti accuse contro l'ex dirigente del Sisde. Mercoledì il giornalista Saverio Lodato, per trent’anni corrispondente dell’Unità da Palermo, ha raccontato alla trasmissione Atlantide di Andrea Purgatori, su La7, che subito dopo l’attentato all’Addaura nel giugno 1989, il giudice Giovanni Falcone gli avrebbe confidato off the records di avere sospetti su “menti raffinatissime” all’interno delle forze dell’ordine che lo avrebbero tradito. Fece il nome di Contrada, facendosi garantire dal giornalista che non lo avrebbe riferito pubblicamente. E lui, a soli 31 anni di distanza, ha deciso di rompere quel patto.

 

La testimonianza di Lodato ha rappresentato il perfetto compimento di una puntata che, grazie ai contributi dell’ex pm Antonio Ingroia, dei giudici Alfredo Morvillo e Nino Di Matteo, ha rilanciato il solito copione della Trattativa Stato-mafia, insistendo sull’equivoca colpevolezza di personaggi che la giustizia ha sempre assolto e presentando, tra le altre cose, la Democrazia cristiana come il partito di Cosa Nostra.

 

“Io non posso che definire quel programma una vergogna, un grave esempio di disinformazione” racconta con voce grave al Foglio Paolo Cirino Pomicino, deputato di lungo corso della Prima Repubblica e ministro del Bilancio e della programmazione economica nel settimo governo Andreotti, tra il 1989 e il 1992. “Nel servizio si sostiene che la Democrazia cristiana, nell’ambito del Maxi processo intentato da Falcone e Borsellino, non sia riuscita a tutelare i suoi vecchi amici, che sarebbero i boss. Questa non solo è un’offesa, ma significa non conoscere la storia. Perché se il maxiprocesso si è concluso lo si deve al governo Andreotti, in particolare al decreto Andreotti-Vassalli, che nel settembre dell’89 aumentò la custodia cautelare per gli imputati di criminalità mafiosa, da uno a due anni. Lo facemmo di corsa perché una parte dei boss mafiosi stava per uscire per decorrenza dei termini”. Volendo usare una metafora ornitologica, “sarebbero diventati come uccelli che volano via, facendo perdere le loro tracce”. All’epoca Luciano Violante, vicepresidente della commissione Giustizia alla Camera, e l’intero gruppo del Partito comunista votarono contro in Parlamento. “Secondo questa logica cosa ne dovremmo dedurre, che fossero loro i referenti della mafia? Ho capito che un giornalista dell’Unità resta sempre un giornalista dell’Unità, ma se il comunismo internazionale è crollato non è colpa dei democristiani. Tutt’al più, è un merito”.

 

Pomicino si concentra poi sul vizio, annoso, di tirare in ballo le più alte cariche istituzionali del paese in strane ed equivoche sortite sulla ricerca di verità “oltre quella giudiziaria”. Proprio ieri Matteo Renzi a margine del voto sulle mozioni di sfiducia al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in Senato, ha voluto ricordare l’inopportunità di chiamare a testimoniare, nel processo sulla Trattativa, l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Beh, basti pensare che negli anni di cui si occupa la trasmissione il commissario provinciale della Dc a Palermo era l’attuale presidente Mattarella. Questo è l’ordine di gravità della faccenda, per cui forse servirebbe una commissione d’inchiesta parlamentare”, rilancia il politico campano. Proprio oggi, parlando all’Adnkronos, Contrada ha detto di sentirsi “massacrato” e che nessun risarcimento monetario lo ripagherà di 8 anni della sua vita andati perduti. Cosa ne pensa? “Mi domando perché, anche da parte degli intellettuali di questo paese, non ci sia più nessuna indignazione. Ma insomma lo volete capire che se uno viene condannato per un reato che non esiste è una cosa gravissima?”.