L'informativa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sull'emergenza coronavirus (foto LaPresse)

Cosa prevede il nuovo decreto di Conte per combattere il coronavirus

Rocco Todero

Il presidente del Consiglio limita i suoi poteri e quelli delle regioni per gestire l'emergenza

Nella tarda serata di mercoledì 25 marzo è stato finalmente pubblicato il nuovo decreto legge con il quale il governo intende proseguire, con l’approvazione del Parlamento, nell’adozione di misure straordinarie per contrastare la diffusione del coronavirus. L’esecutivo ha fatto tesoro di alcune delle criticità emerse dopo l’emanazione del precedente decreto del 23 febbraio, ha raccolto i suggerimenti che da più parti (compreso da questo giornale, qui) sono stati offerti per una migliore coerenza delle previsioni di legge ai principi della Costituzione repubblicana e questa volta ha programmato un’azione che dovrà svilupparsi quantomeno nel medio periodo.

  

E’ stata cancellata, innanzitutto, la delega in bianco con la quale nel precedente decreto il governo era stato autorizzato ad assumere “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”. Da questo momento in poi Giuseppe Conte potrà adottare esclusivamente una o più misure fra quelle tassativamente elencate nel secondo comma dell’articolo 1 del nuovo provvedimento. Si tratta delle azioni di contenimento che sono state già oggetto dei vari dpcm che si sono susseguiti per tutto il mese di marzo.

 

Si è così scongiurata l’ipotesi che senza puntuale autorizzazione del Parlamento il presidente del Consiglio possa incidere sull’estensione delle libertà fondamentali dei cittadini.

 

Il governo ha preso atto inoltre della duplice necessità di rivedere periodicamente (ogni trenta giorni) l’efficacia delle decisioni assunte e di ottenere una nuova autorizzazione del Parlamento per l’adozione di misure restrittive successivamente al 31 luglio 2020, allorché  cioè verrà a scadenza la deliberazione con la quale si è dichiarato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale.

 

Un passo avanti è stato compiuto anche per ciò che riguarda l’opportunità di rendere pubbliche le valutazioni scientifiche che dovranno sorreggere le azioni di contrasto alla diffusione del coronavirus.

 

I decreti del presidente del Consiglio emanati nelle ultime settimane, infatti, non hanno recato alcuna indicazione delle valutazioni di supporto del Comitato tecnico scientifico. Adesso, l’ultimo periodo del primo comma del nuovo decreto legge prevede, invece, che il parere dell’organo tecnico debba precedere qualsiasi decisione da adottare con dpcm.

 

Per contrastare poi l’eventualità che serrate o scioperi possano paralizzare i settori produttivi ritenuti indispensabili per contrastare la diffusione dell’epidemia, il governo ha chiesto al Parlamento di essere autorizzato a imporre lo svolgimento delle predette attività con provvedimento dei singoli Prefetti e previo coinvolgimento delle parti sociali interessate.

 

Evidentemente la minaccia nei giorni scorsi delle proteste dei metalmeccanici e degli operatori della distribuzione di carburanti ha destato la legittima preoccupazione nel Consiglio dei ministri che il mancato coordinamento dell’intero apparato produttivo possa rischiare di vanificare l’efficacia dei provvedimenti adottati e di produrre effetti deleteri sotto il profilo dell’ordine pubblico e della sicurezza.

  

Appare chiaro, tuttavia, come il clima all’interno del quale stia vivendo la popolazione in questo periodo suggerisca di puntare soprattutto sulla solidità delle argomentazioni e sull'autorevolezza delle raccomandazioni, relegando in ultima istanza l’uso della forza per garantire la prosecuzione dell’attività degli apparati produttivi ritenuti indispensabili.

 

Con il nuovo decreto, il Consiglio dei ministri ha cercato anche di mettere ordine nei rapporti caotici che sino a questo momento sono intercorsi con le decisioni assunte dai presidenti di Regione e dai Sindaci delle città italiane.

 

La cronaca di queste ultime settimane ha mostrato come il mancato coordinamento delle iniziative intraprese ai vari livelli istituzionali (dai sindaci ai presidenti di regione) possa mettere a repentaglio l’efficacia dell’azione di contrasto alla pandemia e incidere pesantemente sull’esercizio delle libertà fondamentali.

 

Resta ferma, pertanto, la supremazia dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri sulle ordinanze dei governatori regionali. Questi ultimi potranno adottare misure più restrittive esclusivamente in relazione a specifiche situazioni  sopravvenute  di  aggravamento  del   rischio sanitario verificatesi nel loro territorio e solo fintantoché non sia adottato un nuovo dpcm. E’ comunque espressamente vietato ai presidenti di Regione di incidere sullo svolgimento delle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale. Si mette fine, dunque, alla babele di interventi dei Governatori regionali sulle modalità di apertura di esercizi commerciali, ipermercati e complessi industriali.

 

Sebbene il riconoscimento del potere dei presidenti delle singole regioni di incidere in via subordinata e residuale nel contrasto al coronavirus possa apparire opportuno al fine di fare fronte a eventuali aggravamenti del rischio epidemiologico su base locale, emerge la lacuna del mancato obbligo di ascoltare il parere di un organo tecnico scientifico prima dell’assunzione di qualsiasi decisione che incida sui diritti fondamentali dell’individuo.

 

Limitazioni sono state imposte anche ai capi delle amministrazioni comunali, ai quali è stato vietato di adottare ordinanze contingibili e urgenti, per fronteggiare l’emergenza, in contrasto con le misure statali e oltre i limiti di queste.

 

L’effettività delle previsioni contenute nel nuovo decreto legge è, infine, affidata ad una serie di sanzioni che spaziano da quelle amministrative, che possono essere di natura pecuniaria, (nella misura da 400 a 3.000 euro) o interdittive delle attività produttiva industriale o commerciale illegittimamente esercitata, a quelle penali, previste per l’ipotesi di violazione di un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo (arresto da tre a diciotto mesi e ammenda da 500 a 5.000 euro).

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