Matteo Salvini al SIGEP di Rimini (LaPresse)

L'Italia immaginaria sognata dai Liberali e Terzisti per Salvini

Giuliano Ferrara

Ci avevano detto che era l’Ineluttabile e ora fanno le canaglie davanti al sopravvivere felice della ragione politica

È stato respinto con gravità e leggerezza un usurpatore, l’uomo del citofono che per la seconda volta avanzava la sfida dei pieni poteri personali, un tipo alla Enrico VI che voleva semplicemente to set the aspiring Catalina to school, far scuola all’ambizioso Catilina. Respinto al Pilastro, al Papeete e a Bibbiano, luoghi simbolo del suo modo sedizioso di concepire la politica democratica, il famoso “populismo”. Respinto da un popolo che non ha voluto “sentire” i suoi baci alla salama, le sue intemerate vittimiste, il suo scartare la povera candidata in favore del macho aggressivo onnipossente e trucibaldo che da ex ministro dell’Interno si traveste da lattaio e suona alla porta di casa, non ha voluto sentire e ha preferito “pensare”, giudicare, bocciare con agio e nettezza elettorale in una giornata di arrembaggio alle urne. È stato annegato in un mare di sardine, gente normale, semplice, antiretorica, stanca di bellurie da trivio e un po’ malandra, fine di tatto e di fioretto, alla quale le più belle menti del sociologismo politico da quattro soldi avevano predetto che erano lì per rafforzarlo, che erano dei pariolini del portico bolognese, minoranze Dams irrilevanti quando entra in scena la Bestia. È stato battuto da un fustaccio con la faccia bonaria e intelligente, uno che aveva raccolto un sistema di consenso e di potere in pezzi per governare bene una regione ricca e riformista, allegra e disincantata. Uno che in televisione non andava quasi mai, un non frequentatore di bordelli minori, quel che si dice un amministratore con il buon gusto iscritto nella bandiera.

   

Quando la buona novella si è fatta notizia il mondo dorato degli opinionisti si è riunito compiaciuto e narciso davanti alle telecamere e ha cominciato a parlare di forchette insidiose, segno evidente che avevano perso la partita anche se non erano mai entrati in partita per viltà corporativa; hanno cominciato a dire, Dio li perdoni, che però il senatore spauracchio aveva perso bene, era arrivato secondo in una competizione a due, e hanno preparato commenti idioti, tipo “il governo non smetterà di soffrire”, tipo “e ora che cosa ci aspetta”. Liberali per Salvini e Terzisti per Salvini, quelli che dalla cattedra di politologia, l’ultimo rifugio delle canaglie, ci avevano spiegato che il senatore era l’Ineluttabile, che eravamo sfuggiti al “voto subito” solo per subire in seguito le sue avanzate napoleoniche, che era meglio mettere lui direttamente al posto del Bisconte, che le sardine erano suoi alleati, che la legge andava sospesa a suo beneficio dall’immunità, che c’era qualcosa di magistrale nelle sue mosse, che l’unico risultato del trasformismo sarebbe stato il trionfo dei grillini, e si è visto, quelli si sono messi a pontificare all’istante per svuotare la notizia vera, la bocciatura democratica di un bullo, dopo una stagione in cui il sano trasformismo italiano aveva costruito l’argine unico possibile contro il bullismo.

  

È tutto vero ciò che sulle loro bocche suona irrimediabilmente falso: c’è un nuovo blocco sociale di spossessati più o meno immaginari, un popolo che sente prima di pensare, in cui agisce il riflesso identitario più imbarazzante e meno espressivo, il nazionalismo etnicista al posto del patriottismo, tutto vero, ma vero anche il sopravvivere del ruolo felice della ragione e della ragione politica, vera l’impalatabilità dell’arroganza e del suo corteggio di servo encomio, vero che l’Italia sempre in anticipo sa danzare sul baratro e ritrarsene in momenti decisivi, vero che molta gente ha capito l’inganno nascosto dietro i sogni di gloria, di possanza, di sfida belluina alle regole scritte e non scritte di una democrazia costituzionale e liberale. Hanno passato anni a dannare la plastica del partito ridente e paradossale di Berlusconi, ora si sono arresi per gola, sono bastate una marcetta su Roma minacciata e una citofonata, al partito della Nutella e della Bestia da Instagram. L’usurpatore si leccherà le sue ferite, ma di fronte a un establishment tardosavoiardo, così poco garibaldino, che ha liquidato la Repubblica dei partiti e se la spassa con quella della Lega, bè, viene quasi voglia di consolare il molto riverito senatore Salvini.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.