(foto LaPresse)

Salvini: loro sardine, io sgombro. Il dopo elezioni visto da Loiero

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Quindi bipolarismo disgiunto?

Giuseppe De Filippi 

 


Al direttore - Troppa grazia, sant’Antonio, un’altra regione strappata, alla grande, al centrosinistra. Ma il boccone grosso, significativo, è rimasto dov’era. Già, bravissimo Bonaccini a rimanere dov’era. Vale più di una regione persa? De gustibus, ecc. Ma oggi quello che conta è lo strepitio mediatico che si può fare sui gusti, non sulla realtà. Come il nuovo tracollo del M5s.

Moreno Lupi  

 

Il tracollo del M5s offre al Pd e a Renzi l’opportunità di esercitare medi poteri. Ma quando uno ha il potere, quel potere deve dimostrare di saperlo esercitare. E il primo passo su cui si misurerà la capacità del governo di mettere in campo un nuovo equilibrio di potere sarà su due fronti: rimediare al disastro della prescrizione e cominciare a occupare come si deve la Rai. Ieri il ministro Roberto Gualtieri, nella sua veste di azionista di controllo dell’azienda di servizio pubblico, ha ricevuto l’ad Fabrizio Salini e gli ha confermato la sua fiducia. Ora resta solo da capire una cosa: il governo ha o no un’idea per provare a dare un senso a un’azienda che oggi un senso non ce l’ha? 

 


Al direttore - Caro Cerasa, hanno calcolato che, rispetto alle ultime elezioni europee del maggio scorso, Salvini ha perso ben ottantamila voti ma in compenso è riuscito a guadagnare quasi una ventina di chili ben visibili per tutto quello che si è mangiato dalla mattina alla sera durante la campagna elettorale nella accogliente e gaudente Emilia-Romagna e che ora, ahimè, dovrà smaltire: è pur vero che i guai non vengono mai da soli! Un cordiale saluto.

Vincenzo Covelli 

 

Rispetto al cibo del Capitano mi limiterei a una battuta letta non so dove ma geniale: loro sardine, io sgombro. 

 


Al direttore - Le due regioni che domenica sono andate al voto hanno mostrato facce contrapposte e, ovviamente, un esito diverso. In Calabria il clima è stato diverso rispetto a quello dell’Emilia-Romagna. Per un novero di circostanze, non tutte di natura politica, questa regione non ha appassionati difensori nel nostro paese. Negli ultimi anni sul suo cielo si sono addensati stereotipi difficili da capovolgere anche perché, come scriveva molto tempo fa un grande giornalista americano, tutto quello che si muove in direzione opposta a uno stereotipo, ormai consolidato, anche le menti colte lo respingono. Durante l’ultimo anno nella Calabria del centrosinistra sono avvenuti molti fatti, anche di natura giudiziaria, di cui l’opinione pubblica nazionale ha saputo poco. Il presidente uscente della regione, Mario Oliverio, forte di un lungo curriculum di originaria provenienza comunista intendeva ricandidarsi: era di prima legislatura. Anche se di legislature nelle varie istituzioni ne aveva consumate tante. Zingaretti non era di questo avviso perché i sondaggi sulla gestione della regione degli ultimi anni erano catastrofici. Comincia a questo punto un confronto serrato tra Roma e la Calabria, che trasforma una vicenda che la vecchia politica avrebbe risolto in meno di una settimana, in un conflitto che dura molti mesi. Il confronto assume spesso toni accesi e finisce per deprimere molti elettori di centrosinistra, già provati dalle sconfitte registratesi, una via l’altra, negli ultimi tre anni in tutte le città calabresi andate al voto. Si tenta a questo punto di candidare Florindo Rubbettino. Il giovane editore dispensa cultura e potrebbe contribuire a mitigare quei famosi stereotipi. Forse potrebbe essere la carta giusta per la vittoria. Ma l’ipotesi, tempo un paio di giorni, tramonta. Rubbettino da un lato si trova Oliverio più che mai ostinato a candidarsi da solo contro il partito, dall’altro il M5s, che sembrava fino a qualche giorno prima defilato, che annuncia di candidare un proprio uomo a presidente. L’editore, di fronte ai due ostacoli, a qualche giorno dal suo incontro al Nazareno con Zingaretti, rinuncia. Il segretario del Pd a questo punto decide di rompere gli indugi e di indicare da Roma il candidato della coalizione. Il personaggio prescelto è Pippo Callipo (un industriale di buona qualità ma non di orientamento di centrosinistra) che da anni aspira a cimentarsi in politica. Una buona parte della coalizione di centrosinistra rimane perplessa. Nel 2010 quando il centrosinistra era riuscito a organizzare la sua coalizione con tutti i partiti che ne facevano parte (da Rifondazione ai comunisti di Diliberto) l’industriale calabrese si candidava, su spinta di Di Pietro e dei Radicali, a presidente della regione e riusciva a racimolare un 10,2 per cento, contribuendo a determinare la sconfitta del centrosinistra. Cinque anni dopo non si candida ma fa aperta campagna elettorale per il centrodestra accanto alla candidata presidente Wanda Ferro e ai sostenitori nazionali della coalizione. Nei mesi scorsi accetta di candidarsi presidente con il M5s ma l’infatuazione dura poco perché, dopo appena tre giorni, rinuncia alla candidatura e rimane in disparte per circa un mese. E’ a questo punto che lo ripesca Zingaretti. Una buona parte della galassia di sinistra si rifugia nell’astensione. C’è poi un ultimo elemento da valutare in questo voto calabrese così diverso da quello emiliano: l’affluenza alle urne. Dopo un mese durante il quale i media si sono concentrati in forma massiccia su queste elezioni regionali, soprattutto su quelle dell’Emilia-Romagna per i risvolti che potevano allungarsi sullo scenario nazionale, il risultato dell’affluenza alle urne è stato anch’esso di segno contrapposto tra le due regioni. L’Emilia-Romagna è passata dal 37,76 per cento al 67,67 per cento. In Calabria, dove cinque anni fa aveva votato il 44,16 per cento, domenica ha votato il 44,32 per cento. Praticamente la stessa percentuale di elettori. Intendo dire che, non sempre, ma nella maggior parte dei casi, la politica è un perfetto sistema di conseguenze.

Agazio Loiero

presidente della giunta regionale della Calabria dal 2005 al 2010

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