(foto LaPresse)

No: fare il governo contro Salvini non è stato un regalo a Salvini

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ma Davigo a ottobre va in pensione o la legge dei 70 anni per gli amici non si applica? Che dice il Csm dei mille pesi e delle mille misure? E’ stato eletto dai magistrati che a 70 anni devono lasciare? O lui resta fino al termine del mandato perché è più uguale degli altri? Domande innocenti… No colpevoli…

Frank Cimini 

 


 

Al direttore - Salvini è stato sconfitto. Le sue guasconate privano di valore il fatto che il centrodestra, malgrado le stupidaggini del “capitano”, raggiunga il 43 per cento nella regione simbolo della sinistra di governo. Un comportamento serio e razionale e una minore esaltazione avrebbero consentito alla Lega di gestire in modo equilibrato e senza gravi conseguenze una sconfitta che, comunque, la vede in Emilia oltre il 30 per cento. Probabilmente la sconfitta grave Salvini l’ha subìta in Calabria dove raggiunge uno striminzito 12 per cento, in presenza di una ripresa di Forza Italia e di un’affermazione della Meloni. Aver rotto il muro della chiusura nordista del leghismo, affermando anche nel Mezzogiorno la propria presenza, costituiva la grande novità intervenuta nel profilo politico della Lega di Salvini. Il voto in Calabria ci dice che il processo di nazionalizzazione della Lega non è compiuto e può anche arretrare. Una domanda di fondo tuttavia si impone. Si sostiene che questo Parlamento possa realisticamente porsi l’obiettivo di durare fino al 2023. Mi chiedo: è politicamente possibile che ciò accada? L’offerta demagogica con il suo improvvisato ceto antipolitico sembra esaurirsi. Il movimento grillino ebbe il 32 per cento nel marzo del 2018, oggi è di gran lunga sotto quella percentuale che ne fece, per lo spazio d’un mattino, il primo partito d’Italia. C’è una crisi interna alle forze del populismo in Italia. Può, un Parlamento in queste condizioni, durare altri tre anni e proporsi di eleggere il capo dello stato che dura sette anni? Si ritiene normale che ciò accada? L’argomento con cui si replica a tale interrogativo è che l’Italia è una democrazia parlamentare, ne discende che a Montecitorio e a Palazzo Madama si procederà con i deputati e i senatori eletti nel 2018. Sostenere ciò significa tuttavia non prendere in considerazione che quel voto, “si è dissolto come neve al sole, è scomparso inglorioso dalla scena”. La democrazia parlamentare non può ignorare la rappresentatività del Parlamento. Si sottovaluta altrimenti il rischio di giungere a un punto di crisi tra Parlamento e società italiana. Si può discutere di ciò o, passata la nottata, si ritiene che la partita sia chiusa?

Umberto Ranieri 

 

Se non ricordo male, caro Ranieri, l’articolo 60 della Costituzione prevede che la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica siano eletti per cinque anni e non mi sembra che in quell’articolo della Costituzione vi sia alcun cenno al fatto che la rappresentatività di un Parlamento possa essere considerata tale solo a condizione che quella rappresentatività possa essere costante per tutta la durata della legislatura e possa essere costantemente confermata dai sondaggi. Capisco che per chi ha considerato un regalo a Salvini la nascita di un governo anti Salvini non sia facile riconoscere che il governo anti Salvini non sta rafforzando Salvini ma forse dopo l’Emilia-Romagna di questo dovremmo parlare: questo governo, specie ora che il M5s conta molto in Parlamento ma conta poco nel paese, può arrivare all’elezione del presidente della Repubblica, nel 2022, provando a esistere piuttosto che a resistere? Si può discutere di ciò o dobbiamo ancora dire che Renzi è stato un pazzo a lasciare Salvini in mutande al Papeete? Grazie e un caro saluto. 

 


 

Al direttore - Caro Cerasa, non posso mai scriverti perché sono sempre d’accordo con te. Ma lo posso fare questa volta perché su Cina, virus e globalizzazione non sono del tutto d’accordo. Sappiamo bene che nell’impero di mezzo i diritti di libertà di parola e di giusto processo non vengono rispettati. Ma se il punto di fondo del tuo articolo è quello della fiducia (trust), le cose stanno in un altro modo, per quanto riguarda almeno gli altri temi. La Cina di Xi è oggi nel mondo la forza maggiore a favore della globalizzazione e il nemico della stessa è l’Amministrazione Trump, presidente di un paese certamente liberaldemocratico, nonostante The Donald. Conoscendo un po’ la Cina per esserci stato tante volte e averci vissuto per un po’ direi che la ragione del flagello che la colpisce ha poco a che vedere con il governo e il sistema politico di quel paese ma con le tradizioni alimentari arcaiche e ben poco igieniche di gran parte degli abitanti. I mercati popolari vendono carne appena uccisa di ogni specie di animali ed esposta in condizioni a dir poco insalubri. Ed è difficile sradicare vecchie abitudini alimentari. Se poi veniamo al punto essenziale del tuo articolo, quello della fiducia nei confronti del governo, mi sembra che la caduta e il collasso della stessa sia più forte da noi che in Cina. Penso all’Italia. Dove la sfiducia nei partiti di governo ha prodotto un Parlamento ingolfato da una banda di incompetenti, frutto di una protesta nelle urne contro il governo rappresentativo e lo stato dei partiti. Ma penso anche alla Francia, dove vivo, dove un presidente eletto con ampio margine viene oggi sfiduciato dalla maggioranza perché sta attuando il programma sulla base del quale era stato eletto! Un presidente che non ha più la fiducia dei cittadini (per ragioni peraltro assurde – parlo ad esempio dell’ostilità nei confronti della riforma delle pensioni) e che è favorevole allo stato di diritto e alla globalizzazione. Buon lavoro e complimenti per quello che scrivi nel migliore quotidiano italiano.

Pasquale Pasquino 

 

Caro Pasquino, il punto mi sembra invece molto semplice e provo a ribadirlo. Tutti i grandi paesi del mondo attraversano una crisi di fiducia ma, come abbiamo scritto ieri, per quanto i sistemi democratici possano a volte apparire più fragili e persino più vulnerabili e persino meno credibili rispetto ai sistemi non democratici è in casi come quelli legati al coronavirus in cui le dittature mostrano forse il loro lato più debole. Un paese non libero, e la Cina libera non è, è un paese che contribuisce ad alimentare nei suoi confronti una bolla di sfiducia letale che si ripercuote inevitabilmente su quel paese nel momento in cui gli osservatori di tutto il mondo devono misurare la sua credibilità. Un paese che non permette la libertà di stampa è un paese che non permette di essere considerato affidabile e per quanto le democrazie oggi siano piene di tarli è in questi momenti che si capisce bene che i paesi più vulnerabili non sono quelli meno efficienti ma sono quelli meno liberali. La lezione del coronavirus, oggi, mi sembra essere questa. Grazie e un caro saluto a lei.

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