La Festa dell'Ottimismo a Firenze di sabato scorso

Il vaccino dell'ottimismo per un'Italia che non abbia paura di se stessa

Claudio Cerasa

Immobilismo, incompetenza, inefficienza, cultura della nostalgia: tutte le catene che tengono bloccato il paese. La stagione del pessimismo però può cambiare se si guarda al futuro non come fonte di paura ma come miniera di opportunità

Ottimisti, sì, ma in che senso? In uno splendido editoriale pubblicato la scorsa settimana sul Corriere della Sera, il professor Sabino Cassese ha messo insieme alcune storie interessanti per provare a mostrare uno dei volti certamente più deprimenti del nostro paese: l’immobilismo. Cassese ha messo insieme la storia del Mose e quella dell’Ilva, ha calcolato i danni prodotti da un Parlamento inefficiente e da un governo poco competente, ha segnalato quanto sia pericolosa la trasformazione di un ministero importante come quello della Pubblica amministrazione in un mero distributore di posti, ha ricordato i problemi generati dalla trasformazione dell’Anac in un angelo custode della burocrazia e ha concluso il suo ragionamento non proprio con ottimismo segnalando il fatto che, “con l’attuale andazzo, la diffusa incompetenza programmatica e l’improvvisazione, non ci sono molte speranze” che le cose possano andare meglio. Il professor Cassese ha ovviamente molte ragioni ma la sua perfetta analisi andrebbe arricchita con alcuni spunti ulteriori, molti dei quali emersi sabato scorso alla nostra splendida festa del Foglio, che ci possono aiutare a capire meglio quali sono le catene che oggi tengono bloccata l’Italia. La burocrazia c’entra, ovviamente, ma se il ragionamento di Cassese fosse da intendere come se fosse un libro, a questo libro andrebbero aggiunti almeno altri dieci capitoli. 

 

 

Capitolo numero uno: la presenza di un ambientalismo giacobino che tende a bloccare tutto e che considera ogni forma di progresso come una minaccia per l’ambiente.

 

Capitolo numero due: la presenza di una cultura politica che tende ad affrontare i problemi dell’Italia creando ripetutamente capri espiatori utili a spostare l’attenzione dai veri guai del paese.

 

Capitolo numero tre: la presenza di una cultura politica che tende a trasformare l’immobilismo nell’unica forma di legalità consentita e che considera il dire “no” l’unica vera prova tangibile della propria onestà.

 

Capitolo numero quattro: la presenza di un legislatore che essendo incapace di decidere tende a scaricare sulla magistratura decisioni che non è in grado di prendere e che così facendo non fa altro che legittimare sempre di più le esondazioni della magistratura.

 

Capitolo numero cinque, parente stretto del capitolo quattro: la presenza di una classe politica irresponsabile, incapace di governare il mostro del populismo penale a tal punto da ampliare periodicamente il potere di discrezionalità dei magistrati con leggi spesso scritte sotto dettatura delle peggiori correnti dell’Anm.

 

Capitolo numero sei: la presenza di una classe dirigente incapace di guidare i follower (leadership) e desiderosa solo di farsi guidare da essi (followship) che non sentendosi legittimata a rappresentare il popolo, che le ha chiesto invece di essere da lui rappresentato, tende a non prendere decisioni quando queste implicano una qualche decisione potenzialmente non popolare (per abusare ancora di qualche parola in inglese si potrebbe dire che un paragrafo di questo capitolo potrebbe essere dedicato al dramma politico dello short-termism, l’incapacità di prendere decisioni che abbiano effetti non a breve termine).

 

Capitolo numero sette: la legittimazione progressiva di una cultura che prevedendo la demonizzazione del primato della politica tende ad affidare spesso a figure famose ma non capaci della società civile ruoli di primo piano dell’amministrazione della cosa pubblica.

 

Capitolo numero otto: la tendenza a scaricare regolarmente sulle casse dello stato l’incapacità molto diffusa della classe politica italiana di rendere il nostro paese un luogo più accogliente per gli investitori stranieri, che spesso ha come effetto quello di contribuire a rendere molto inefficiente ciò che senza essere in mano allo stato potrebbe essere dannatamente molto più efficiente (un capitolo nel capitolo potrebbe essere dedicato a quanto la presenza di un paese immobile sia legata alla presenza di un paese incapace di moltiplicare le occasioni di concorrenza).

 

Capitolo numero nove: la presenza crescente di una classe dirigente che tende a individuare come soluzioni utili a rafforzare la sovranità del nostro paese – facciamo più debito pubblico, freghiamocene del deficit, non ascoltiamo i mercati, combattiamo contro il Fondo salva stati – soluzioni che tendono invece inesorabilmente a ridurre la nostra sovranità e la capacità della politica di poter avere la forza di prendere decisioni.

 

Capitolo numero dieci e capitolo finale: la tendenza a considerare rivoluzionaria la presenza di un numero sostanziale di forze politiche desiderose di mettere nelle mani della cultura della nostalgia la progettazione del nostro futuro. E il capitolo numero dieci ci aiuta anche a ricordare perché la stagione del pessimismo non può che essere combattuta con il vaccino dell’ottimismo: solo chi considera il futuro non una fonte di paura ma una miniera di opportunità può provare ad aiutare l’Italia a non avere paura di se stessa e a non prepararsi al domani con la testa girata verso il passato.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.