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Parrini ci spiega perché serve il doppio turno o la soglia alta

David Allegranti

Per il senatore Pd è importante che, sulla nuova legge elettorale, le forze della maggioranza “discutano attorno a ipotesi realistiche e sostenibili anche se tra loro diversificate”

Roma. Sulla legge elettorale la maggioranza di governo è ancora in alto mare ma il Pd, dice al Foglio il senatore Dario Parrini, deve essere preparato. “Anzitutto il metodo: arrivare dentro il Pd, a partire dalla prossima direzione di martedì, alla definizione di un paio di proposte che uniscano il Pd e con cui aprire il confronto nella maggioranza per arrivare entro dicembre come da documento di intenti sottoscritto alla vigilia del voto sul taglio dei parlamentari al deposito di un ddl condiviso, da usare poi come base per un dialogo anche con le opposizioni”.

 

Ovviamente, dice Parrini, “come sempre quando si deve discutere con altre forze serve una certa flessibilità di approccio ma anche chiarezza nel piantare i paletti”. Ovvero? “No a Rosatellum, la legge vigente, che, riducendosi il Senato a 200 membri, genera sia assurde compressioni del pluralismo in alcune regioni sia assurdi indebolimenti del rapporto tra eletti e elettori, dato che avremmo collegi uninominali spropositati, di oltre un milione di abitanti. No agli incentivi alla frammentazione, no alla dilatazione dei poteri di veto e di ricatto nelle mani dei piccoli partiti. Il che significa no al proporzionale puro ma anche a sistemi basati su collegi uninominali a un turno. No anche al doppio turno di collegio, che in Italia con tre grosse forze a medio-alta concentrazione territoriale sarebbe destabilizzante, in mancanza del fattore di disciplinamento e di trascinamento del risultato delle elezioni politiche rappresentato, si veda quel che succede in Francia, dall’elezione diretta del capo dello stato”.

 

Posti questi paletti, “a me pare evidente che le scelte di riforma elettorale possibili e sensate sono due, diverse tra loro ma con in comune la capacità di essere selettive e non meramente riproduttive dello spezzettamento di partenza del quadro politico”. Quali? “Il doppio turno nazionale di coalizione oppure un sistema proporzionale con soglia di sbarramento alta. Il doppio turno, costruito con soglia di premio al 50 per cento e in maniera tale da tener conto dei rilievi che a suo tempo la Consulta mosse all’Italicum, incentiva la costituzione di aggregazioni prima delle elezioni o prima del secondo turno e garantisce alla coalizione vincitrice la maggioranza assoluta dei seggi e ai cittadini il potere di scegliere direttamente la maggioranza di governo. Un sistema del genere pur partendo da una formula proporzionale conduce a un esito nettamente maggioritario. Per questo motivo non è compatibile con soglie di sbarramento elevate”.

 

L’altro sistema “sensato e fattibile” nelle attuali condizioni politiche italiane “è un proporzionale con sbarramento elevato. Le varianti possibili in questo campo sono due: o un modello con soglia di sbarramento esplicita nazionale del 5 per cento, o un modello (tipo quello esistente in Spagna e Portogallo, e con elementi di somiglianza, per quanto attiene la modalità di distribuzione dei seggi tra le liste, con la proposta di legge avanzata dal M5s nel 2014) dotato di soglie di sbarramento naturali e implicite elevate determinate dalla ristretta dimensione delle circoscrizioni”. Il proporzionale con soglia elevata, esplicita o implicita, rispetto al doppio turno “limita maggiormente la frammentazione (perché l’asticella per entrare in Parlamento è più alta) e induce le forze politiche a spostare alla fase post-elezioni le decisioni sulle alleanze. Io sono un esperto della materia e ho ovviamente le mie idee. Ma in questo momento nel quale la discussione deve ancora arrivare a un punto fermo dentro il Pd e dentro la maggioranza mi pare giusto fare il chiarificatore, cioè delineare le cose che a mio parere si possono e non si possono fare nelle attuali condizioni politiche”. In questi casi, dice Parrini, “la flessibilità è un sintomo di saggezza. Non c’è una sola soluzione adeguata. E fare guerre ideologiche avrebbe poco senso. E’ però importante che il Pd e la maggioranza discutano attorno a ipotesi realistiche e sostenibili anche se tra loro diversificate”. 

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.