Giorgia Meloni durante la manifestazione a piazza Montecitorio di Fratelli d'Italia contro la formazione del nuovo governo (foto LaPresse)

La teoria della rabbia

Massimo Piattelli Palmarini

Le relazioni tra leader e individui viste sotto la lente matematica. Battigalli e Dufwenberg ci spiegano il loro nuovo studio di “teoria psicologica dei giochi”. E come la frustrazione sia alla base del voto populista

Viene pubblicato oggi, nel prestigioso periodico internazionale di modelli economici Games and Economic Behavior, un articolo di tre insigni economisti: l’italiano Pierpaolo Battigalli della Bocconi, Martin Dufwenberg dell’Università dell’Arizona, e Alec Smith del Virginia Tech. Il titolo, assai rivelatore quando tradotto in italiano, è “Frustrazione, aggressione e rabbia in giochi tra leader e ricevente”. Una premessa qui si impone. Da vari anni, economisti e psicologi hanno progettato ed eseguito un gran numero di esperimenti sui cosiddetti giochi a ultimatum. In essenza, si offre una somma da dividere tra un proponente (leader) e un ricevente. Supponiamo si tratti di dieci euro. Il proponente decide una ripartizione di tale somma. Se il ricevente accetta, ciascuno ottiene l’importo, ma se invece rifiuta, nessuno dei due riceve alcunché. Ovviamente tutti accettano una divisione di cinque e cinque. Molti ancora accettano quattro di contro ai sei del leader. Non molti accettano tre contro sette. Pochi accettano due contro otto, nessuno in pratica accetta uno contro nove. Ebbene, in astratto, secondo una fredda considerazione economica, dato che un euro o due euro sono meglio di niente, il ricevente dovrebbe sempre dire di sì. Invece, sdegnati da una proposta non equa, i riceventi mandano al diavolo i due o tre euro, oltre al leader iniquo, e rifiutano.

 

Alcuni anni or sono, il neuroscienziato Alan Sanfey, mediante risonanza magnetica funzionale, ha visto attivarsi nei riceventi un centro cerebrale, chiamato insula anteriore, quando ricevono e rifiutano una divisione iniqua. Questo centro cerebrale è notoriamente correlato alla sensazione di disgusto (cattivi odori, cibi nauseabondi e simili) e tanto più si attiva quanto più iniqua (unfair) è la divisione, massimamente per uno contro nove. In ulteriori lavori, cofirmati da Martin Dufwenberg, risultati analoghi sono stati ottenuti nei cosiddetti giochi di fiducia (trust games), nei quali il senso di colpa insorge nel proponente quando capisce che le aspettative del ricevente sono frustrate.

 

Negli anni, le principali varianti di questi giochi a ultimatum sono state: conferire al leader uno status superiore e speciale, noto al ricevente; dire al ricevente che il leader ha una storia passata di generosità, o altrimenti di egoismo; immaginare che la somma da dividere sia di diecimila euro, o un milione di euro. Chi manderebbe al diavolo il proponente e centomila euro, anche sapendo che lui se ne tiene novecentomila?

 

Molte nazioni adottarono disposizioni di austerità. Ne seguirono tumulti di piazza. Non l’avevano previsto? Strano!

Nel caso del lavoro oggi pubblicato, sono state messe nel collimatore, appunto, le sensazioni di sdegno, frustrazione, rabbia e aggressività nelle diverse situazioni sperimentali create a bella posta. L’articolo è zeppo di formule matematiche e di sottili analisi dei risultati. Si citano anche casi tipici dell’insorgere della rabbia e dei suoi effetti. Nel 2015, una casa farmaceutica aumentò il prezzo di un farmaco da 12 a 750 dollari per ogni dose. I pazienti, inferociti, mandarono letteracce di protesta e subito chiesero al medico curante di prescrivere un’alternativa. Quella casa farmaceutica non l’aveva previsto? Strano! Altro caso: come noto, a seguito del tracollo economico del 2008-2009, molte nazioni europee adottarono disposizioni di austerità. Ne seguirono tumulti di piazza, l’ultimo dei quali in Francia, quello dei gilet gialli. Non l’avevano previsto? Strano! Un caso assai sorprendente, ma ben documentato: le polizie ricevono un maggior numero di denunce di violenza coniugale quando la squadra del cuore del marito ha appena subìto un’inattesa sconfitta casalinga.

 

Ma citano anche un caso nel quale disappunto e rabbia furono previsti e tamponati. Nel 2007, la Apple uscì con un nuovo iPhone a 499 dollari. Poco dopo presentò un ulteriore modello a 399 dollari e il prezzo di quello precedente fu ribassato a 299 dollari. Prevedendo disappunto e rabbia, la Apple offrì di rimborsare la differenza. Forse, a lungo termine, questa politica avrà aumentato i profitti.

 

Chiediamo a Battigalli, in esclusiva per il Foglio, di sintetizzare i metodi e i risultati di questo studio. “L’articolo propone un modello teorico della rabbia e del conseguente comportamento aggressivo nelle relazioni tra individui, rappresentate come ‘giochi’ – spiega il professore – Ispirandosi alla letteratura psicologica, la rabbia è modellata come l’inclinazione a danneggiare gli altri provocata dal mancato raggiungimento di un obiettivo: quando ci si rende conto che il guadagno inizialmente atteso non è più raggiungibile, si diventa tanto più aggressivi quanto maggiore è la differenza tra il guadagno inizialmente atteso e quello che si può ottenere dopo avere osservato l’evento avverso, come per esempio una proposta ‘prendere o lasciare’ sfavorevole. Individui che ragionano strategicamente tengono conto che le loro azioni possono provocare rabbia e reazioni aggressive nei loro confronti e cercano di evitarle. Quindi – aggiunge Battigalli – tali reazioni non sono molto frequenti. L’inclinazione alla rabbia dà credibilità a ‘minacce’ la cui esecuzione sarebbe contraria agli interessi materiali di chi reagisce. Motivazioni psicologiche differenti, quali la reciprocità positiva e il senso di colpa, spiegano invece l’alta frequenza con cui si mantengono le ‘promesse’, cioè reazioni favorevoli alla controparte a scapito del guadagno personale, quando la controparte si rende vulnerabile, si fida adottando comportamenti desiderabili. La credibilità delle minacce e delle promesse è essenziale nelle interazioni economico-sociali. La cosiddetta ‘teoria psicologica dei giochi’ studia come tale credibilità dipenda anche da emozioni che derivano dalle aspettative. Il modello di rabbia dovuta a frustrazione fa parte di questo programma di ricerca”.

 

Il sostegno va a partiti che fanno promesse che poi non mantengono, una volta eletti. E finiscono per creare frustrazione nei loro elettori

Martin Dufwenberg, che ha una discreta conoscenza dell’italiano, è presente a questa intervista (fatta a Tucson), e aggiunge: “Gli economisti hanno tradizionalmente fatto appello a raffinati metodi matematici per analizzare le interazioni sociali, ma hanno adottato presupposti troppo ingenui sulla natura umana. Per esempio il puro e semplice desiderio di massimizzare i profitti. Di contro, gli studiosi delle scienze sociali spesso adottano schemi analitici poco raffinati, anche quando si servono di caratterizzazioni psicologiche più ricche della natura umana – spiega il professore dell’Università dell’Arizona – I miei coautori e io, invece, riteniamo che questi stili d’indagine debbano essere integrati. Inquadrando svariati desideri ed emozioni in un quadro formale rigoroso, cerchiamo di ottenere nuove prospettive sulle interazioni tra gli esseri umani. Nello studio oggi pubblicato abbiamo messo a fuoco la rabbia, cercando di inquadrare questa emozione e come essa può essere incorporata nei modelli degli economisti per spiegare alcuni risultati tipici. Inquadriamo la rabbia in un processo a due stadi. Nel primo stadio un decisore si sente frustrato a causa di una brutta sorpresa, quando un esito negativo cozza contro le sue aspettative. Nel secondo, la frustrazione si trasforma in rabbia e il decisore si chiede chi biasimare, perché e come ripagare l’affronto con un’aggressione. Sosteniamo che il nostro modello teorico è in grado di spiegare i conflitti coniugali, le tensioni finanziarie, i risultati delle contrattazioni e i comportamenti legati alle recessioni, agli arbitrati, al terrorismo, alla rabbia generata da un incidente stradale e al sostegno politico ai candidati populisti”.

 

Proprio quest’ultimo è un argomento di scottante attualità in Italia, negli Stati Uniti e altrove. Chiediamo a Dufwenberg un chiarimento. “Il sostegno va a candidati o partiti politici che in qualche modo fanno promesse che poi non possono mantenere, una volta eletti. Quindi finiscono per create frustrazione nei loro elettori. Così entrano in scena Donald Trump e da voi Grillo e Salvini, promettendo di ‘bonificare la palude’. Quel candidato populista, quindi, può ottenere i voti di chi è frustrato solo perché vuole colpire chi era prima in carica. Ciò è in accordo con il nostro modello, ma non abbiamo sviluppato questo aspetto in modo formale”.

 

Una sezione del lavoro tratta il cosiddetto anger management, cioè la gestione e la modulazione della rabbia. Sottili varianti del gioco consentono di verificare sperimentalmente questo aspetto. Di fondamentale importanza sono le aspettative. Se un ricevente, per vari motivi e circostanze, non si aspetta di ricevere molto, accetta anche modeste somme e non sviluppa frustrazioni, né rabbia, né intenzioni di rivalsa.

 

La teoria dei giochi vanta una lunga storia di modelli di razionalità economica pura e ben cinque Premi Nobel per l’economia (John Nash, Reinhard Selten e John Harsanyi nel 1994; Thomas Schelling e Robert Aumann nel 2005). Ora, nei loro lavori pubblicati in anni recenti, Battigalli e Dufwenberg hanno introdotto una componente psicologica nella teoria: cosa passa per la mente di un giocatore e cosa un giocatore pensa che passi nella mente dell’altro giocatore. Sta qui ciò che decide la prossima mossa e, in ultima analisi, l’intero esito della partita. Ma nella mente, appunto, non c’è solo la pura razionalità modellata dalla classica teoria dei giochi.

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