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Il referendum sul trucismo l'ha voluto il Truce

Claudio Cerasa

La conventio ad excludendum può essere criticata, ma non è pura tattica politica. Nasce dalla precisa scelta di Salvini di giocare con l’estremismo e di lasciare aperte finestre che chi vuole guidare l’Italia non può tenere neppure socchiuse

I nuovi equilibri parlamentari fotografati martedì pomeriggio al Senato durante la votazione sul calendario dei lavori in Aula hanno contribuito a rafforzare l’idea che Matteo Salvini si sia infilato da solo in una clamorosa trappola politica dalla quale oggi non riesce a liberarsi. Ieri, dopo aver cercato di ribaltare il tavolo proponendo al Movimento cinque stelle di fare quello che il movimento chiedeva, ovvero votare il taglio al numero dei parlamentari e poi andare subito alle elezioni, il leader della Lega ha lasciato intendere, in una intervista al Corriere della Sera, di essere persino pronto a tornare sui suoi passi, perché, sono parole di Salvini, alla Lega interessa solo avere un governo che possa permettersi di esprimere uno come Giancarlo Giorgetti al ministero dell’Economia – e non è un caso che nella mattinata di ieri siano comparse molte dichiarazioni di leghisti più morbide nei confronti del M5s (il ministro Gianmarco Centinaio ha detto che rispetto al M5s “le porte non sono chiuse fino in fondo”).

 

Il dibattito sui tempi della crisi rischia però di farci perdere di vista quello che in realtà è il vero tema centrale della fase politica che stiamo vivendo e il tema sul quale vale la pena soffermarsi ci suggerisce che la difficoltà di fronte alla quale si trova oggi Matteo Salvini non ha a che fare con un problema legato ai tempi scelti per far morire il governo. Ha a che fare con qualcosa di molto più importante che non riguarda la fredda tattica parlamentare ma riguarda l’essenza della strategia salviniana. La trappola nella quale Salvini è malamente caduto è relativa non all’incapacità di fare i giusti conti in Senato ma all’incapacità di fare i conti con il mostro dell’estremismo che il leader della Lega ha trucemente alimentato e che oggi non sembra più in grado di controllare. Le manovre parlamentari dei partiti nemici di Salvini possono essere lette in modo molto diverso e anche in modo molto critico, ma al centro del dibattito di queste ore vi è qualcosa di più della semplice volontà di non perdere le poltrone: vi è l’idea che in Italia vi sia un leader molto pericoloso che ha trasformato l’estremismo in un elemento non negoziabile dell’identità leghista. Il consenso spaventoso raggiunto in questi mesi dalla Lega ha poco a che fare con la speranza che Matteo Salvini possa trasformare l’Italia in una repubblica fascista e ha molto a che fare invece con la speranza che Matteo Salvini possa aiutare gli italiani a sentirsi sempre più sicuri e a sentirsi sempre meno ostaggio del populismo grillino.

 

Ma ciò che il leader della Lega deve aver sottovalutato è l’effetto prodotto dalla sua ambigua doppiezza tanto sul Parlamento quanto sugli elettori. E il motivo per cui a torto o a ragione il ministro dell’Interno non viene oggi percepito come se fosse un ordinario protagonista della politica italiana è direttamente collegato al legittimo sospetto che una volta arrivato alla guida del paese Salvini possa usare i suoi “pieni poteri” per fare tutto quello che ha sempre lasciato intendere di essere disposto a fare. La conventio ad excludendum maturata negli ultimi giorni in Parlamento finalizzata a costruire una tacita intesa tra alcune parti sociali, economiche e politiche per respingere la repubblica del Papeete non nasce per una distrazione di Salvini ma nasce dalla precisa volontà del Truce di lasciare aperte alcune finestre che un leader che si candida a guidare la terza economia più importante dell’Europa non può permettersi di lasciare neppure socchiuse. Vale quando si parla del rapporto con la Russia e della volontà di far sentire l’Italia a casa più a Mosca che a Bruxelles. Vale quando si parla del rapporto con i trattati internazionali, del diritto dei migranti e della volontà di trasformare la legge farlocca del populismo (come dimostra il caso Open Arms, di cui parliamo a pagina due) in una legge che travolge perfino il diritto del mare. Vale quando si parla del rapporto con la moneta unica e della volontà di Salvini di lasciare sempre campo nel suo partito ai teorici dell’uscita dall’Euro. Vale quando si parla del rapporto con lo stato di diritto e della capacità di un partito di considerare la legge dello stato più importante della legge del taglione. Vale quando si parla del rapporto con l’Europa e della volontà di alimentare alleanze finalizzate a rendere le istituzioni europee sempre meno forti e sempre più vulnerabili. Vale quando si parla del rapporto con la storia e per quanto sia sciocco considerare Salvini un fascista è altrettanto sciocco non riconoscere che è lo stesso Truce a giocare spesso con le parole usate dal suo quasi omonimo Duce. Vale quando si parla del rapporto con la democrazia parlamentare e più Salvini darà l’impressione di considerare il Parlamento al suo servizio e più offrirà al presidente della Repubblica ragioni per dubitare della sua compatibilità con la guida della settima economia più importante del mondo.

 

Si può essere più o meno favorevoli all’opzione di un governo del contenimento capace di scongiurare la nascita di un governo dell’imbarbarimento ma non si può non riconoscere che il pazzo dibattito andato in scena in questi giorni intorno al tema del trucismo non abbia prodotto un risultato importante: mettere in piazza un formidabile processo all’estremismo salviniano. Al contrario di quello che vorrebbero far credere gli scendiletto del populismo trucista, Salvini oggi non è ostaggio dei nuovi inciuci del Parlamento ma è ostaggio di un estremismo sfascista che ogni giorno offre buone ragioni per dubitare che la leadership salviniana sia compatibile con la guida della terza economia più importante dell’Europa. Le strade possibili per costruire un’alternativa sono evidentemente diverse (c’è chi pensa che debba essere il Parlamento, subito, c’è chi pensa che debba provarci l’elettorato, ora) ma il tema del futuro alla fine resta quello: come si ferma il Truce. Sperando ovviamente che il tentativo di fermare il vitale populismo salviniano non faccia risorgere il morente populismo grillino.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.