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Il più grande partito morente

Claudio Cerasa

Che torni con Salvini o vada col Pd, per il M5s la pacchia è finita. Champagne

Tra le poche certezze di questa pazza fase della nostra estate politica, con Matteo Zelig Salvini che nelle ultime ore si è ritrovato costretto a chiedere a mister Ping di togliersi il broncio e tornare a governare insieme, ve n’è una che merita di essere isolata e che riguarda l’unico partito che a prescindere da come finirà la crisi di governo ha di fronte a se solo scenari da incubo. Il partito in questione è naturalmente il Movimento cinque stelle e quale che sia la traiettoria che imboccherà la legislatura non c’è una sola strada che possa permettere al grillismo di uscire vivo dal vortice mortale in cui oggi si ritrova intrappolato.

 

In molti si chiedono giustamente cosa rischierebbe il Pd ad allearsi con il M5s e non c’è dubbio che un governo demogrillino avrebbe l’effetto di trasformare Salvini nell’unico argine alla decrescita a cinque stelle. Ma in pochi si chiedono cosa rischierebbe il Movimento cinque stelle ad allearsi con un partito come il Pd che negli ultimi anni è stato descritto dalla Casalino Associati come un covo di amici dei criminali, di sostenitori della camorra, di protettori degli affaristi, di difensori delle banche, di corteggiatori di mafiosi, di ammiratori di psichiatri pronti a fare di tutto pur di togliere i bambini dalle braccia dei propri genitori.

 

Un anno fa, come ha giustamente scritto su Twitter la nostra amica Nunzia Penelope, l’alleanza pazza tra Pd e M5s avrebbe segnato prima di tutto la resa del Pd, oggi segnerebbe invece prima di tutto la resa del M5s (ieri per la prima volta Nicola Zingaretti ha aperto a un governo non di “corto respiro” e con “larga base parlamentare”). Il grillismo, per non rischiare di morire alle elezioni, è morto se sceglie di allearsi con il partito di Bibbiano (e pensate che sballo sarebbe vedere in Europa il Movimento cinque stelle accettare di allearsi con il partito di Emmanuel Macron, dopo aver sostenuto per mesi i gilet gialli, per fare entrare il M5s, come hanno promesso i vertici del Pd a Luigi Di Maio e a Davide Casaleggio, in un gruppo parlamentare più grande e avere accesso così ai rimborsi che non sono invece concessi ai gruppi parlamentari non alleati con nessuno). Ma se ci si pensa bene è morto anche se sceglie di non rinunciare all’abbraccio insieme vitale e mortale con un partito che fino a qualche tempo fa Beppe Grillo chiamava Pdmenoelle (quando esisteva il Pdl del Cav. e quando il comico genovese sosteneva che il Pd non fosse altro che il partito del Cav. con una “l” in meno).

 

La giornata di ieri è stata caratterizzata da un insieme di voci incontrollate che si sono andate a rincorrere relative alla possibilità che la Lega potesse riproporre al M5s un nuovo patto di governo con Conte commissario europeo e Di Maio premier, ma come è evidente anche questo scenario per il grillismo non potrebbe che essere letale: dopo aver descritto il leader della Lega come il nemico pubblico numero uno del paese, come fatto in questi giorni, tornare ad allearsi con lui aiuterà o non aiuterà il M5s a interrompere quella splendida emorragia elettorale che nel giro di quindici mesi, anche grazie all’alleanza con Salvini, ha permesso al grillismo di perdere quindici punti tra il marzo 2018 e il maggio 2019?

 

La crisi di governo può offrirci ancora molte soddisfazioni, può regalarci ancora molti momenti da sballo, può permetterci di affrontare con brio anche il ritorno dalle vacanze ma la vera ragione per cui il cortocircuito politico che ha fatto esplodere il primo governo populista d’Europa ci rende, in modo irresponsabile, allegri, spensierati e gioiosi ha a che fare con una verità difficile da negare oggi: in attesa di capire quanto ci metterà l’Italia ad accorgersi che il Capitano della Lega somiglia più a un coniglio che a un leone, intanto ci godiamo lo spettacolo della fine del grillismo. Lo champagne lo portiamo noi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.