Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Bilancio, un anno dopo, del tentativo di “romanizzare i barbari”

Valerio Valentini

L'operazione non è riuscita, ammette il professor Orsina, che la lanciò dal Foglio: “Ma sin dall’inizio era una logica di riduzione del danno”. Di buono c’è che non hanno combinato nulla

Se gli si chiede di tirare un bilancio, a un anno di distanza, risponde con tono disilluso: “Diciamo che, se non altro, le catastrofi temute, o auspicate, non si sono materializzate”, sospira Giovanni Orsina. Poi si ferma e annuisce: “Sì, mi rendo conto: come risultato, non è poi gran cosa. Ma quella della romanizzazione dei barbari, dopo tutto, era sin dall’inizio una logica di riduzione del danno”, spiega il politologo ed editorialista della Stampa, ordinario di Storia contemporanea alla Luiss, che nell’agosto scorso, proprio dalle colonne del Foglio, invitò quella creatura informe e fantasmatica che è l’establishment italiano a non condannare senza appello Lega e M5s, ma anzi a sforzarsi di incivilirli, di sgrossarli, di scommettere insomma sulla loro progressiva normalizzazione. Romanizzare i barbari, appunto.

 

Che ne è stato, di quell’appello? “Direi che dal punto di vista del dibattito pubblico, della retorica politica, è caduto nel vuoto. E anzi, si è finito con l’involgarire i cives, anziché imporre ai forestieri i modi dell’Urbe”. Si sono insomma barbarizzati i romani, sui social e non solo. “Esatto. Anche perché, va detto, la tendenza era in atto da tempo. Le forme comunicative di Berlusconi prima, e di Renzi poi, tendevano già marcatamente al populismo. Dopodiché, la voglia di competere con Salvini e Di Maio usando le loro stesse armi, l’illusione di sfidarli col loro stesso lessico, ha portato allo sbraco più totale: dalle polemiche su Carola a quelle su Bibbiano, ormai, è una gara a chi inveisce più forte. Da tutte le parti”. E però non c’è solo il piano della comunicazione. “No, ovviamente no. Ma se analizziamo l’azione politica di questo governo, bisogna riconoscere che di compromessi con Roma questi barbari ne hanno fatti parecchi. L’uscita dall’euro non è più all’ordine del giorno: e un anno fa, di questi tempi, non era scontato. Le due procedure d’infrazione sono state scongiurate. Lo spread è sotto quota 200: per merito di Mario Draghi, certo, ma forse anche perché, nel complesso, gli investitori scommettono meno sul disastro. La forza di maggioranza relativa, il M5s, ha votato a favore di Ursula von der Leyen come nuovo presidente della Commissione europea, allineandosi con la maggioranza europeista a Bruxelles. C’è insomma un grande abbaiare, che però quasi mai si traduce nel mordere”.

 

Descrive un governo che, però, può trarre credibilità solo smentendo se stesso, negando la propria natura, abiurando dai suoi intenti più scombiccherati che sono proprio quelli da cui trae consenso. “Ma certo. Io mi aspettavo esattamente questo, un anno fa. E credo se lo aspettasse anche la stragrande maggioranza degli elettori della Lega e del M5s. A meno che non si pensi che il 35 per cento degli italiani che votano Salvini sia composto da estremisti di destra che sperano nell’Italexit”. E dunque a questo, siamo ridotti: ad accontentarci che non producano catastrofi, e ad accogliere tutto il resto come un male tutto sommato sopportabile? “La situazione è quella che è”, osserva Orsina con scettico realismo. “Questo non è il migliore dei mondi possibili, e quello gialloverde è lontano mille miglia dal governo dei sogni. Ma i populisti al potere sono il sintomo, e non il morbo. Guardiamo all’agenda economica: quota cento è una follia per un paese che ha già una spesa pensionistica elevatissima, e in prospettiva sempre meno sostenibile; e anche il reddito di cittadinanza è una misura pasticciata, per quanto assai ridimensionata rispetto alle velleità iniziali di Di Maio. Ma possiamo anche dirci, con franchezza, che pure gli 80 euro di Renzi furono un provvedimento illogico e costoso, che peraltro andava a dare un aiuto a chi un minimo di tutele le aveva già?”. Torniamo alle solite: e allora il Pd? “Certo, il rischio di cadere in questo adagio c’è. E bisogna assolutamente evitare di fare delle aberranti decisioni di ieri un alibi per le aberranti decisioni di oggi”. 

 

“Ma ribadisco – prosegue Orsina – I populisti non arrivano a Palazzo Chigi dalla sera alla mattina, la loro ascesa è il prodotto di un paese allo sbando da almeno venticinque anni, con classi dirigenti drammaticamente inadeguate”. L’establishment, insomma, che non lo è. E che alla romanizzazione dei barbari, in questo ultimo anno, un po’ ci ha creduto e un po’ no, a fasi alterne. “Da ultimo sembrano credere, più che altro, alla romanizzazione di una parte del governo, ovvero del M5s. Il che è ben strano, se ci pensiamo: perché la Lega, per storia per tradizione, è molto più avvezza ai compromessi con la realtà. E’ molto più romana, in questo senso. Governa, e da anni, le più ricche regioni d’Italia; esprime una classe dirigente di gran lunga più preparata di quella grillina, composta per la gran parte da scappati di casa”.

 

E tuttavia? “E tuttavia la scommessa ora è quella di romanizzare i grillini, magari facendo affidamento sul loro nuovo leader moderato, Giuseppe Conte, e consegnandoli all’abbraccio del Pd. E nel frattempo, spingere Salvini fuori dalle mura dell’Urbe”. Strategia intelligente? “Pericolosissima, a mio avviso. Perché così facendo – dice Orsina – si mette in quarantena non un leader politico, ma il 35, il 40 per cento dell’elettorato italiano. Una conventio ad excludendum contro il partito di gran lunga più votato: un bipolarismo artificioso (e in prospettiva bloccato) tra buoni e cattivi, fondato sull’antisalvinismo come in passato lo si è fondato, o si è provato a farlo, sull’antiberlusconismo o sull’antirenzismo. Una follia”. 

 

Ma perché, allora, l’establishment, qualunque cosa esso sia oggi, non crede nella scommessa della romanizzazione del capo della Lega? “Credo che molto dipenda dallo stesso Salvini, che finora non ha voluto sciogliere l’ambiguità sulle sue reali intenzioni. Non si capisce, cioè, se prevalga la linea Borghi o la linea Giorgetti. E non si capisce, tutto ciò, perché è Salvini a non volere che si capisca, perché in questo modo lui riesce evidentemente a massimizzare il consenso. Lui del resto è soprattutto questo: un formidabile animale da consenso, che si tratti di like o di preferenze. E’ evidente, invece, che nelle cancellerie si muova molto male, con goffaggine, e che ad esempio nel gioco diplomatico tra Usa e Russia sia finito schiacciato. Anche a Bruxelles, in fondo, si è relegato in una posizione marginale. Ma conta poco, questo, nella sua ottica: perché lui ora, proprio facendo l’opposizione dura e pura, riesce a dare l’impressione di poter fare sentire con più forza la voce dell’Italia in Europa, anche se poi, a ben vedere, se la sua posizione di marginalità sarà confermata nei mesi a venire, la Lega rischierà di ottenere ancora meno di quello che hanno ottenuto i precedenti governi”. Come andrà a finire, però, è presto per dirlo. “I prossimi dieci mesi ruoteranno intorno a questa sfida: tutti contro Salvini, e Salvini contro tutti. Si proverà magari a sganciare il M5s dalla Lega e a creare un governo alternativo, dando sostanza proprio alle paure che per ora spingono il leader leghista a non rompere con Di Maio (ma io non credo che un governo alternativo, in questo Parlamento, sia in alcun modo possibile); oppure la spunterà Salvini, andando al voto e facendo bottino pieno, da solo o con la Meloni e un pezzo di Forza Italia. O magari, alla fine, questo precario compromesso gialloverde reggerà, e non cambierà nulla”.