Urne piene, scaffali vuoti

Michele Masneri e Andrea Minuz

Le librerie parlano. Dialogo semiserio sull’evoluzione del nostro senso estetico-elettorale

Venticinque anni di librerie: dal messaggio della discesa in campo di Berlusconi del ’94 al 34 per cento della Lega di Salvini, l’immagine della vittoria è ormai legata agli scaffali. Un paese ossessionato non dai libri – si sa che non legge nessuno – ma dai saloni del libro e dalle librerie.

 

MM Però questi venticinque anni sono anche utili per capire come cambiano i gusti (soprattutto nell’arredamento e nell’allestimento), e i sogni: la libreria di Berlusconi del 1994 era quella di un adulto, un ordinato sogno borghese con dentro anche la cultura a forma di libro. La libreria del 2019 invece è quella del bambinone sovranista e incasinato che rompe le regole dell’arredo. Quella del Cav. era, come narra la leggenda, in un garage di Macherio: era bianca, su misura, in laminato o Mdf. Conteneva l’Enciclopedia Treccani e qualche scultura di Cascella (le sculture in libreria, le tombe in giardino). C’era tutto il desiderio di legittimazione libresca della borghesia. Nel 2011 poi, quando fa l’appello nel mezzo della questione di Ruby, la stessa libreria diventa una macchia di bianco, una distesa di Supercoralli Einaudi virginali candidi, e foto di famiglia in cornicette d’argento. Infine la regressione finale: nel documentario di Alan Friedman del 2016 la libreria di Berlusconi diventa un ricettacolo di oggetti, premi, medaglie, cianfrusaglie, statuette.

 

 

AM Nel 2019 la libreria di Salvini conclude fatalmente questo processo di regressione inesorabile: perché è la libreria della disintermediazione finale. La ricerca estetica del consenso borghese e moderato lascia il posto allo sbraco totale; siamo piombati nella cameretta, siamo nell’orrenda libreria del fuorisede allestita nell’appartamento in affitto di nonna (del resto Salvini, ricorda sempre il Cav., non ha mai lavorato). Salvini col cartello in mano, come Greta. Una radicalizzazione dell’immagine, altrettanto bambinesca, di Renzi e Orfini alla Playstation coi libri del Nazareno tutt’intorno. Nella cameretta sovranista di Salvini c’è un po’ tutto: oggetti, cianfrusaglie, gadget, qualche libro; l’immagine dell’ex capitano del Milan Franco Baresi sulla parete, la foto della gita delle medie, l’ampolla col simbolo del Sole delle Alpi, il cappellino di Trump, “make America great again”, un “santino” di Putin, Gesù (vagamente ortodosso), un libro sulla spedizione organizzata da Himmler in Tibet per trovare le prove sull’origine della razza (ma Garzanti, non Altaforte), un gufo di vetro con la scritta “Salvini premier”, il Tapiro di “Striscia”, un libro di Lilli Gruber (forse ha anche tutta la trilogia della montagna, c’è il Führer anche lì), una fondamentale guida di Cassano Magnago, Comune del varesotto, nei pressi della “splendida cornice” del parco della Magana, attrazione principale del posto (un parco “pulito e tagliato a dovere”, come scrivono nelle recensioni su Tripadvisor), celebre per una Spa, un kartodromo indoor, un agriturismo e soprattutto luogo d’origine di Umberto Bossi.

 

  

MM Tanti souvenir tipo charter tutto compreso sulle rive del mar Rosso. Mancherebbero però alcune cose: la bambola spagnola nel tubo di cellofan; i cd di Fausto Papetti; un calendario di Frate Indovino. Anche artigianato tipico ungherese. Almeno un richiamo a Orban potevano farlo. Forse è ungherese il bastone che si vede appeso alla libreria, anche se le scritte sembrano egizie (un messaggio per Al Sisi?).

 

AM E poi ecco che campeggia il libro dell’amico Gennaro Sangiuliano, detto Genny, “Putin. Vita di uno Zar”, da cui Salvini tra ispirazione nei momenti di difficoltà. Gli basta leggersi l’inizio: “Piccolo di statura, gracile, biondiccio ma dotato di grande determinazione nel carattere, oltre che di intelligenza, a dodici anni Vladimir legge Lo scudo e la spada, bestseller che racconta le avventure di una spia sovietica” e capisce che vuole entrare nel Kgb. Lì Salvini pensa a Zorro. Ma forse sono anche gli altri volumi di Sangiuliano, come quello sulla “scuola di Capri”, la nuova Capalbio marxista-sovranista portata al cinema anche da Mario Martone con “Capri Revolution”: “Proprio qui, dopo la fallita rivoluzione del 1905, si era formata una piccola colonia di esuli russi, riunitisi attorno a Gorkij, vero e proprio laboratorio di formazione per rivoluzionari”, scrive Sangiuliano, “Scacco allo Zar”, tra scene epiche e folgoranti come quella con Lenin che esce da Marina Piccola sul grande gozzo bianco di Gor’kij e impara dai barcaioli capresi la pesca a mano col filo.

 

MM E però viene travolto dalla Diciotti o dalla Sea Watch. Sono cazzi. Intanto il Tg2 sfiora l’incidente diplomatico con la Svezia per le ricostruzioni fantasiose delle banlieue. Per rappresaglia si potrebbe riscrivere – per Altaforte, of course – una storia sovranista di Axel Munthe che a Capri fonda il suo sanatorio, ma a causa del riscaldamento globale fallisce subito, perché si schiatta di caldo, mentre non è stata ancora inventata l’aria condizionata turboliberista. Finché non arriva Greta Thunberg a fare gli scioperi del weekend. Ma la spediscono subito a Merano da Chenot (dove incontra Lilli Gruber che sta scrivendo una nuova puntata della sua saga tirolese). Comunque la libreria di Salvini, tra crocifissi e tapiri, sembra anche un po’ anche un presepe che ho visto alla Biennale, nel padiglione italiano. Un presepe affollatissimo, con un Gesù bambino che sta solo con la Madonna, mentre San Giuseppe è sceso di sotto in una specie di party pieno di gente sbevazzante col calice alla Teomondo Scrofalo (manca effettivamente un quadro di Teomondo Scrofalo nella wunderkammer di Salvini). Chissà poi se glie l’ha progettata un set decorator, la libreria di Salvini. Forse Morici. O forse Milovan Farronato, il curatore della Biennale gender fluid (non so se si piacerebbero). Ma alla fine io penso proprio che se l’è allestita da solo. Del resto l’ha detto in questi giorni: “Interverrò personalmente nella questione del Mercatone Uno”, è chiaro che si riferiva a questo.

 

 

AM All’opposto della libreria-bazar di Salvini “young adult” c’è il vuoto desolato della scaffalatura Pd. Niente, neanche un dvd di Veltroni, una bottiglia di Nerosé di D’Alema. Pare un appartamento dove hanno appena rubato, o pronto per un trasloco. Mancano solo gli scatoloni tipo Lehman Brothers. Del resto Zingaretti l’aveva annunciato, qualche mese fa, da Fazio, “vorrei cambiare sede, fare un coworking e un bar per far tornare la gente, una bella seda con una libreria a pianterreno, vicino alla metropolitana”. Quindi non a Spagna, Repubblica, Barberini. Forse a Milano.

 

MM Dalla base al basement. La foto dello scaffale desolato come emblema del nuovo Pd che lancia almeno due messaggi: uno, seminterrato al posto dell’attico del Nazareno che fa subito “élite”. E qui, problemi anche urbanistici, con la nuova Rinascente che gli ha impallato la vista a Roma, e Paolo Savona che abita di fronte e gli ha fatto causa. Due, La considerazione di libreria come vivace luogo di commercio del libro, in un mondo che naturalmente compra ancora tutto al negozio e ignora Amazon. Nella foto di Zingaretti e Gentiloni fuori fuoco si può anche apprezzare il famigerato “filtro PD”, quell’inimitabile patina di sfiga rétro che si deposita sulle cose e le stories anche quando vinci o pareggi.

 

AM Altra libreria, l’ennesima, intravista l’altra sera alle spalle di Belpietro nella maratona Mentana. Libreria spoglia, tipo “Kersby componibile”, molti spazi vuoti, due dizionari in bella mostra, “italiano/inglese”, una pianta, forse i volumi dei quiz per la patente e sparute file di libri finti e colorati, come quelli che si usano per creare una porta segreta, con Belpietro che passa direttamente alla direzione dell’Unità senza che se ne accorga nessuno, tipo la bat-libreria di Bruce Wayne.

 

MM Infatti a un certo punto è sparito nel nulla, volatilizzato: è partito il collegamento ma Belpietro non c’era già più, “se n’è andato all’inglese”, ha detto Mentana. Urne piene, scaffali vuoti.