Nicola Zingaretti e Giorgia Meloni

Avversari cercansi

Luciano Capone

È un guaio se l’opposizione critica il governo non per il suo programma disastroso, ma perché non lo realizza

Roma. Peggio di un governo come questo poteva capitare solo un’opposizione come questa. E in effetti, avendole entrambe, all’Italia non può andare molto peggio (anche se non in questi casi è meglio non fare pronostici). Più che popolato da una policromia di partiti, sembra che il Parlamento sia dominato da un monocolore gialloverde a diverse sfumature di sovranismo. Basta scorrere le dichiarazioni delle forze di minoranza per rendersi conto dell’egemonia culturale di M5s e Lega.

  

Nei giorni scorsi Renato Brunetta è intervenuto sul tema dei cosiddetti “truffati” dalle banche. L’economista di Forza Italia, questa volta, non si è scagliato contro il governo e i partiti di maggioranza per la loro proposta di rimborso integrale e automatico. Non ha cioè protestato contro il fatto che risarcire persino gli azionisti, quindi investitori a tutti gli effetti, senza prima una sentenza di un giudice o un giudizio di un arbitro che abbia stabilito che c’è stato effettivamente misselling (o truffa), è un’ingiustizia nei confronti di tutti i cittadini italiani. Non si è lamentato del fatto che è una truffa a carico dei contribuenti stabilire per decreto che sono todos caballeros, tutti “truffati”. Brunetta ha annunciato che sarà “in piazza” a manifestare insieme a tutte le associazioni dei “risparmiatori truffati” perché il governo non ha esaudito tutte le loro richieste. Perché Lega e M5s non hanno mantenuto la promessa elettorale di un risarcimento integrale. Non sapendo cosa dire Forza Italia si batte quindi per il programma degli altri, facendolo proprio.

  

Stessa cosa per il Pd di Nicola Zingaretti. Una delle prime uscite del nuovo segretario è stata sull’Alitalia. Contro l’ipotesi di nazionalizzazione voluta da Di Maio, in violazione della normativa europea sugli aiuti di stato e soprattutto degli interessi degli italiani che pagano le tasse? No. Per il motivo opposto. “Siamo preoccupati per come il governo abbia abbandonato al proprio destino Alitalia e i suoi lavoratori. Dopo aver promesso la nazionalizzazione, se ne sono disinteressati. Il tempo corre e non sanno cosa fare, non esiste un partner disposto a investirci e non si vede un piano industriale”, ha dichiarato Zingaretti. “Nazionalizzate presto!”, sembra dire il Pd. E d’altronde la piattaforma zingarettiana non è incompatibile con alcuni punti del programma di governo, non mettendo in discussione apertamente né reddito di cittadinanza né quota 100, ma propone più deficit (ed è ciò che Di Maio e Salvini avrebbero fatto, se solo avessero potuto).

  

A sinistra-sinistra c’è Stefano Fassina che prima sposa l’idea di “lavorare meno, lavorare tutti” rilanciata dal presidente dell’Inps Tridico (ex consigliere di Di Maio) e poi chiede al governo di ripartire dal “piano Savona”, il documento dell’ex ministro euroscettico degli Affari europei. A destra-destra c’è Giorgia Meloni, le cui battaglie di politica economica e internazionale più discusse sono: la campagna d’Africa sul franco Cfa (insieme a Dibba); il passaggio delle riserve auree al Tesoro e la nazionalizzazione della Banca d’Italia (insieme a Lega e M5s). E su questi punti anche la leader di Fratelli d’Italia ha attaccato i partiti di governo per non aver votato le sue mozioni, definendoli “sovranisti da tastiera”. Su una piattaforma diversa ci sarebbe +Europa, ma al momento non è particolarmente incisiva.

   

L’egemonia culturale gialloverde è visibile da un elemento comune che contraddistingue l’azione politica di tutti i partiti di opposizione: non contrastano il governo per le sue idee sballate e per il suo programma disastroso per l’economia, ma per il motivo contrario. Perché non portano alle estreme conseguenze le loro idee insane e non realizzano fino in fondo i loro propositi fallimentari. Rispetto a questo scenario, senza una vera alternativa politica e culturale, l’unica alternativa che il paese ha di fronte è quella tra un lento declino e un collasso improvviso.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali