Giuseppe Fioroni (foto LaPresse)

Beppe Fioroni, fondatore del Pd, ci spiega perché il Pd non basta più

David Allegranti

L'ex deputato indica due opzioni per costruire l'alternativa al governo gialloverde: “O il partito riafferma la propria vocazione o deve nascere uno schieramento di moderati”

Roma. Giuseppe Fioroni è uno dei fondatori del Pd (e prima è stato uno dei fondatori del Ppi e della Margherita), quindi fa un certo effetto sentirlo teorizzare che il Pd che ha contribuito a costruire non è più autosufficiente. “Ma io sono rimasto sempre fedele a me stesso, rimanendo caparbiamente ancorato alla storia del popolarismo e del cattolicesimo democratico. Altri semmai, all’insegna dell’innovazione e della modernità, hanno cambiato gattopardescamente”. Detto questo, spiega Fioroni al Foglio, “dobbiamo chiarirci e riflettere su quale sia il futuro del Pd e del centrosinistra, su quale sia insomma la prospettiva che abbiamo davanti”.

 

La sinistra ha risolto intanto la questione del “governo del partito”, visto che l’ha appena conquistato, ed è una sinistra – concede Fioroni – “convinta, aggiornata e moderna”. Adesso, casomai, bisognerebbe porsi il problema del “governo del paese”. “La destra sovranista e il populismo nazional-popolare dei 5 stelle generano grande preoccupazione per la crescita e lo sviluppo del nostro paese, delle nostre famiglie e dei nostri figli. Noi dovremmo essere ossessionati dalla costruzione di un’alternativa per dare un contributo alla legittima ambizione di governare il paese”.

 

Naturalmente, dice Fioroni, bisogna essere consci del contesto. “Non credo che dopo le Europee cambierà molto, nel senso che resteremo un paese con un sistema tripolare all’interno di un orizzonte proporzionale. Per questo la costruzione dell’alternativa per il centrosinistra passa da due opzioni”. Prima una premessa però, dice Fioroni: “Lo schema dalemiano del grande albero con tutta una serie di cespugli e cespuglietti intorno non è più riproponibile. Ciò detto, gli schemi possibili sono due. Il primo è quello che prediligo: il Pd riaffermi la propria vocazione, assuma un posizionamento centrale nello schieramento di centrosinistra, faccia sentire a casa propria i moderati e mai ospiti sgraditi e paganti, incoraggi la nascita di un partito alla propria sinistra con istanze radicali, superando la preoccupazione del nemico a sinistra. Questo nuovo partito potrebbe raggiungere l’8-9 per cento e sarebbe determinante per la vittoria”.

 

Qualora invece questo scenario non si realizzasse, perché “legittimamente si ritiene che il Pd debba diventare il partito di sinistra del nostro paese, riunendo in sé un rassemblement con tutte le sfaccettature della sinistra italiana, allora bisognerebbe che nascesse uno schieramento di moderati. Parola fuori moda e associata alla prudenza dei vigliacchi e dei traditori. Invece è proprio la moderazione ciò che manca alla politica italiana, è una virtù potente e consente di fronte alla complessità dei problemi un equilibrio per fare passi avanti. Davanti all’arroganza e alla forza possono così prevalere le ragioni del dialogo, del confronto e della persuasione. La figura di Aldo Moro, a 41 anni dalla sua morte, è un paradigma di comportamento per i moderati”.

 

Insomma, il Pd in questo caso dovrebbe fare un endorsement “verso questa formazione composta di moderati che non si riconoscono in Salvini e in Di Maio”. Di fatto, dunque, sarebbe la nascita di un nuovo partito, anche se Fioroni si augura “che il Pd alle Europee faccia il miglior risultato possibile, io non mi iscrivo certo al partito di quelli che misurano l’asticella per decidere cosa fare”. L’ambizione, dice Fioroni, deve essere più alta: “Dobbiamo recuperare uno spirito che si è perduto con la morte di Aldo Moro, quando la politica ha perso la ‘p’ maiuscola e ha tentato di colmare l’assenza di un progetto politico con la legge elettorale e il feticcio della stabilità di governo. A quel punto gli italiani sono stati portati a votare non perché credevano in qualcosa ma per scegliere qualcuno. Agli italiani abbiamo detto: non credete più in niente ma semplicemente scegliete un leader. Così siamo arrivati alla mercificazione della politica e dunque alla volatilità dell’elettorato, germe del degrado e della degenerazione. Ma il leaderismo nel sistema proporzionale non funziona, dobbiamo riproporre un pensiero, un progetto e dei valori”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.