Giancarlo Giorgetti e Laura Castelli in Parlamento (foto LaPresse)

Manovra incerta. Cambiano i toni ma nessuno vuole mollare

Redazione

La Lega è disposta a rimodulare il reddito di cittadinanza del M5s e il M5s è pronto a limare la quota cento della Lega

Roma. Nessuno mostra più i denti, i falchi si trasformano in colombe, lo stesso vocabolario della maggioranza si trasfigura, si ammorbidisce, arricchendosi di sfumature, attenuativi, parole fasciate dalle più delicate sordine. “Sono molto contento del dialogo aperto con l’Europa dal presidente Conte”, arieggia allora Riccardo Molinari, il capogruppo della Lega alla Camera, sigaro toscano e modi felpati. E soltanto Laura Castelli, la sottosegretaria all’Economia del Movimento cinque stelle, si abbandona a un “purché non ci chiedano un rene. Aspettiamo di essere convocati da Conte per capire”.

 

E nei capannelli, i deputati del M5s parlano e fumano, fumano e si interrogano, s’interrogano e dubitano, “non possiamo mica rinviare il reddito di cittadinanza”, dice per esempio Riccardo Tucci, giovane calabrese in ascesa. Il reddito di cittadinanza va fatto a marzo, comunque prima delle elezioni europee, è la promessa delle promesse, senza quello “non ci votano”. E si capisce che l’iniziativa del presidente prof. Giuseppe Conte, la cena con Juncker, l’idea della trattativa europea, precipita densa d’incognite sui Cinque stelle, o almeno sulla base parlamentare del Movimento, forse perché il primo ad aprire alle modifiche alla manovra, consigliato da Giancarlo Giorgetti, è stato Matteo Salvini. E la fiducia tra gli alleati è un bene che da qualche tempo comincia a scarseggiare.

  

“Qualcosa sulla manovra andrà fatto”, dice allora Molinari, col tono dolce di chi scaccia le paure e concilia i tormenti, aggravando però le paure e i tormenti dei Cinque stelle. “Le cose grosse della manovra sono il reddito di cittadinanza e la quota cento”, spiega. Poi la mette lì, come fosse una cosa banale, ovvia: “Credo che si possa far slittare un po’ il reddito di cittadinanza…”. Ma questo lo pensa la Lega, ovviamente. Idee e suggestioni che cascano sul duro del Movimento. Facile intuire, infatti, che sotto la superficie liscia del nuovo linguaggio, composto di prudenza e toni bassi, sommissione e cautela, ci sia l’esperienza antica e provvida del partito di Salvini e ci siano però anche tutti i timori e le incertezze da neofiti dei grillini.

 

“Il reddito di cittadinanza non si può toccare nemmeno di un euro”, soffia la sottosegretaria Castelli. Ecco, appunto. “Abbiamo stanziato né più né meno di quello che è necessario per finanziarlo”, dice in tono di aperta rivendicazione, mentre alla Camera osserva i ministri e i sottosegretari della Lega, mobilitati per il decreto sicurezza, una delle bandiere di Salvini, che arriva oggi al voto definitivo. Ed è tutto evidentemente un intreccio complicato da afferrare. “Al contrario del reddito di cittadinanza”, riprende Castelli, “i saldi per fare la quota cento sono un po’ gonfiati. E lì si può limare”, aggiunge, in un gioco in cui apparentemente i due partiti alleati fanno carambola, si rimbalzano l’uno con l’altro la grana di una rinuncia che per adesso è tuttavia solo teorica, come teorici – cioè non scritti – sono d’altra parte anche il reddito di cittadinanza e la quota cento: due provvedimenti che nessuno ha mai visto su carta.

 

E allora, come andrà a finire? “Aspettiamo che Conte ci convochi alle 19 e 30”, dice Castelli, alle 15, con aria forse un po’ infastidita, riferendosi al vertice con il quale il presidente del Consiglio deve spiegare cosa ha detto e ottenuto dalla Commissione europea. D’altra parte le aperture di Conte, la sua cena con Junker, le sue dichiarazioni concilianti e piene di buona volontà, sono piaciute forse più alla Lega, che ai Cinque stelle, i quali più dell’arrendevolezza del presidente del Consiglio temono probabilmente la “fregatura” dietro l’angolo, la “manina”, insomma il magheggio di tecnica contabile ed esperienza politica dei leghisti, spesso capaci negli ultimi mesi di metterli nel sacco, “e senza nemmeno che noi ce ne accorgessimo”. E allora Conte con chi sta, adesso, in questo intreccio che si complica di non detti, allusioni, e anche qualche timido e persino legittimo sospetto? “Ma no. Non è vero che Conte si è iscritto alla Lega”, ride Emilio Carelli, l’ex direttore di Sky tg24, oggi deputato grillino. “Conte in questo momento è l’uomo giusto al posto giusto, possiede quel tanto di uso di mondo che lo rende perfetto nella fase del dialogo”. Ma dialogo che significa? “Significa che rimoduleremo la quota cento”. Ed ecco che si ricomincia da capo, una specie di ping pong, in cui i due principali provvedimenti della manovra sono la pallina sfuggita di mano ai giocatori. Ieri sono bastate poche parole, la sola impressione che la manovra possa cambiare, che lo spread è sceso sotto 290 e la Borsa ha guadagnato il 2,8 per cento. Oggi tocca al Consiglio dei ministri diradare la nebbia e fermare il ping pong.