Foto LaPresse

Viva il popolo che si ribella ai populisti

Claudio Cerasa

I risparmiatori sfiduciano il governo. La ricchezza finanziaria crolla di 140 miliardi. Ma la rivolta che può più far male a Salvini e Di Maio viene da nord. Dopo Torino, il partito del pil si mobilita nel nord-est e va in piazza il 13/12. Il Ven(e)to è cambiato?

L’aumento degli interessi sui titoli di stato, il crollo della capitalizzazione della Borsa, le crisi delle aste dei Btp, la fuga degli investimenti stranieri, la crescita del rendimento delle obbligazioni aziendali, l’aumento dei tassi di interesse sui fidi bancari, la corsa a spostare all’estero i capitali italiani sono tutti segnali che, mescolati con i dati offerti ieri dall’ultimo rapporto della Banca d’Italia sulla stabilità finanziaria delle famiglie italiane – la cui ricchezza a causa delle tensioni sui mercati negli ultimi sei mesi si è ridotta di una quota vicina ai 140 miliardi di euro – certificano in una certa misura un fatto oggi difficile da negare anche per il più appassionato tra gli scendiletto del populismo italiano: il popolo dei risparmiatori e degli investitori ha cominciato da tempo a considerare una sciagura il governo del cambiamento.

 

Nonostante i numeri da urlo (di Munch) dell’economia, Matteo Salvini e Luigi Di Maio continuano a dare l’impressione di essere interessati più al futuro dei sondaggi dei propri partiti che al futuro della crescita del proprio paese e non perdono giorno per chiedere alla Commissione europea (e ai mercati) un po’ di pazienza, un po’ di tolleranza, un po’ di tempo in più per mostrare la bontà delle proprie idee.

 

Fino a oggi il crollo progressivo dell’economia italiana – dopo il calo delle assunzioni ad agosto, meno 17 mila quelle in somministrazione e meno 23 mila quelle a termine, a settembre l’Inps ha diffuso dati ancora più preoccupanti, registrando meno 50 mila attivazioni sui contratti a termine e meno 33 mila in somministrazione rispetto al 2017 – non ha avuto un impatto sul consenso dei due partiti di governo e ha coinciso anzi, a fronte di un leggero calo del Movimento 5 stelle, con una corposa crescita della Lega. Il sentimento di indifferenza mostrato finora dal partito di Salvini rispetto agli effetti devastanti generati dalla manovra del cambiamento sull’economia italiana potrebbe però presto diventare un sentimento di carattere diverso grazie a una poderosa iniziativa annunciata ieri dagli artigiani del Veneto, che dopo aver duramente criticato la scorsa settimana in un incontro pubblico il ministro dell’Economia Giovanni Tria hanno scelto di replicare il modello di protesta già sperimentato con successo a Torino contro l’Italia a bassa velocità, portando in piazza la propria insofferenza contro la politica del No. Il giorno scelto per la manifestazione convocata dal presidente degli artigiani del Veneto Agostino Bonomo insieme agli artigiani di altre due regioni amministrate come il Veneto dalla Lega, ovvero la Lombardia e il Friuli Venezia Giulia, è il 13 dicembre. La città scelta simbolicamente per manifestare sarà Milano, per dare – dicono gli organizzatori – una valenza nazionale alla protesta, e le ragioni della protesta coincidono con le ragioni dell’unica opposizione possibile contro il partito della decrescita infelice: liberare le energie del partito del pil, ribellarsi al partito del No alle grandi opere, di chi ritiene le infrastrutture una fonte di corruzione e non di crescita, e dare così una sberla sincera al partito del No ai termovalorizzatori, dell’assistenzialismo e dei nemici del lavoro.

 

La particolarità e l’eccezionalità della mobilitazione degli artigiani italiani – in tutto il paese gli iscritti all’associazione di categoria sono circa un milione – è che il dissenso contro il governo questa volta non nasce in una città amministrata dal Movimento 5 stelle, come poteva essere Torino, ma nasce direttamente nel cuore pulsante del consenso leghista e le ragioni che spingono gli artigiani veneti, friulani e lombardi a scendere in piazza sono le stesse che da qualche tempo a questa parte spingono anche gli imprenditori del Veneto a mobilitarsi, come forse succederà anche a Genova, contro l’immobilismo populista, per schierare contro il partito della decrescita irresponsabile l’unico partito che può salvare l’Italia: quello del pil. Imprenditori come Luciano Vescovi, numero uno di una delle organizzazioni territoriali di Confindustria più grandi d’Italia, quella di Vicenza, duemila imprese associate, ottantaduemila addetti rappresentati, che giovedì sera ha portato all’attenzione del governo, e prima di tutto di Salvini, le ragioni che rendono questa manovra non solo sbagliata ma semplicemente irresponsabile. E il punto non è tanto la forma, ovvero il rispetto delle regole europee, ma è prima di tutto la sostanza, ovvero il rispetto del buon senso. Certe scelte, ha detto Vescovi, sono evidentemente frutto di una mancata conoscenza di come funzionano le imprese, di come funziona l’economia, dell’impatto sociale che le aziende hanno sul territorio, e in questa manovra, dove manca il tema della crescita, il tema degli investimenti, il tema di una politica economica e industriale di medio termine, il problema vero non è il litigio con l’Europa ma è il fatto che il governo sta, dice Vescovi, giocando d’azzardo sulla nostra pelle e ci sta isolando dal mondo. Risultato? “Gli imprenditori – dice Vescovi – mi chiamano per dirmi che per ora non hanno alcuna intenzione di investire nuove risorse né di assumere. Che aspetteranno di capire se ampliare gli stabilimenti in Italia, anzi, proprio a Vicenza, una terra a cui sono legatissimi e che è per loro la primissima scelta; o se farlo da qualche altra parte d’Europa. E a vedere il risultato dell’asta Btp, direi che non sono solo gli imprenditori che si stanno prendendo un momento di riflessione, ma gli italiani e le famiglie in primis”.

 

La manovra del cambiamento doveva abolire la povertà. Gli imprenditori e gli artigiani dicono che invece ha abolito il futuro. E senza cambiarla per Di Maio e soprattutto per Salvini il futuro rischia di essere più rischioso di un titolo di stato. Viva la rivolta del Dio Po.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.